Agenda 2030 – Obiettivo 5: raggiungere la parità di genere

Io scrivo libri per le scuole. Racconto la geografia ai bambini della primaria, spiego com’è il mondo ai ragazzini delle medie, approfondisco importanti tematiche del nostro pianeta per i ragazzi più grandi. Cercando di incuriosirli, sperando di interessarli, seminando qualche elemento di consapevolezza e facendo di tutto per far loro venire la voglia di conoscere e viaggiare, liberandosi da preconcetti e luoghi comuni.

Da tempo sto lavorando sull’Agenda 2030 adottata dall’ONU nel 2015 che, al di là di tutto (cioè di quello che si può, giustamente, dell’impegno degli Stati e delle organizzazioni internazionali), costituisce un ottimo strumento educativo per far conoscere a ragazzi e ragazze i problemi reali del pianeta e dei suoi abitanti, e le possibili soluzioni. L’Agenda 2030 prevede infatti 17 obiettivi (goal in inglese) per lo sviluppo sostenibile necessari da raggiungere per garantire un futuro alla Terra e uno sviluppo equo per tutti i popoli. Questi obiettivi rappresentano perciò un’utile chiave di lettura per comprendere le dinamiche del mondo in cui viviamo.

La scheda di cui riporto una parte in questo post si occupa di un obiettivo molto importante e che mi/ci tocca tutti/e da vicino.  Si tratta dell’Obiettivo 5: Raggiungere la parità di genere e l’autodeterminazione per tutte le donne.

“Nonostante siano la maggioranza della popolazione mondiale, le donne subiscono discriminazioni più o meno gravi in quasi tutti i Paesi del mondo. La parità di genere non è solo un diritto umano fondamentale, ma condizione necessaria e irrinunciabile per il futuro di un mondo sviluppato, sostenibile e di pace.

Nelle statistiche mondiali le donne superano gli uomini soltanto per quanto riguarda l’aspettativa di vita. In tutti gli altri campi della vita economica e sociale la popolazione femminile è svantaggiata.
Si stima che il 70% dei poveri nel mondo siano donne. Il numero delle lavoratrici è ufficialmente 1/3 della forza-lavoro complessiva, ma il lavoro effettivamente svolto dalle donne a livello mondiale rappresenta il 2/3 del totale. La diffusa pratica del lavoro non retribuito rende infatti difficile un equo sviluppo economico. Questo avviene in ogni ambito occupazionale (in casa, nell’agricoltura, nel commercio, nelle imprese familiari) e a tutti i livelli.  Inoltre, tra le donne sono più diffusi contratti a part-time e con minimi salariali, oppure il lavoro nero.

Soltanto in un Paese del mondo su 10 le donne arrivano a una parità di assunzioni nella ricerca scientifica o in altre professioni qualificate (ingegneria, matematica, moderne tecnologie, ecc.). Anche nei ruoli dirigenziali la quota femminile è ancora molto bassa; e a parità di tipo di lavoro, di educazione e di formazione, una donna guadagna in media il 90% dello stipendio di un uomo. Il movimento femminista ha coniato un’espressione, il soffitto di cristallo, che esprime la barriera, invisibile ma insormontabile, che discrimina le donne anche nelle carriere di grado elevato.

In alcuni Paesi la parità di genere non è garantita nemmeno formalmente: per esempio, le donne non possono ottenere credito bancario o la proprietà della terra. Ma sappiamo che sono le donne a svolgere la maggior parte del lavoro agricolo: secondo dati della FAO, la popolazione femminile costituisce in media il 43% della forza lavoro nell’agricoltura, ma questo dato arriva al 50% in Asia orientale e supera il 60% in molte regioni dell’Africa sub-sahariana. Alcune categorie di donne sono poi più vulnerabili alle disuguaglianze nel mercato del lavoro e quindi più facilmente soggette alla povertà: in particolare, le bambine, le adolescenti e le donne anziane. Eppure, sono proprio le donne al centro di molti progetti delle organizzazioni internazionali, perché ritenute più affidabili nel garantire una positiva ricaduta sulle comunità.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa 16 milioni di ragazze tra i 15 e i 19 anni e circa un milione di ragazze sotto i 15 anni partoriscono ogni anno nel mondo. Numeri altissimi, tanto che le complicazioni durante la gravidanza e il parto sono la seconda causa principale di morte per le ragazze adolescenti. Molte di queste ragazze sono sposate: ogni anno nel mondo si sposano quindici milioni di ragazze sotto ai 18 anni. La gravidanza precoce ha effetti psicologici, sociali ed economici (per esempio per una maggior difficoltà a trovare un lavoro regolare) negativi sulle ragazze, sulle loro famiglie e sulle loro comunità. Anche i neonati nati da madri adolescenti affrontano un rischio più elevato di morire rispetto a quelli nati da donne più adulte. Inoltre, ogni anno circa 3 milioni di ragazze tra i 15 e i 19 anni sono sottoposte ad aborti non sicuri.

Questi sono perciò i traguardi che l’Obiettivo 5 indica da raggiungere entro il 2030:

  • porre fine a ogni forma di discriminazione e violenza nei confronti di donne e ragazze;
  • eliminare pratiche come il matrimonio combinato, il fenomeno delle spose bambine e le mutilazioni genitali femminili;
  • riconoscere e valorizzare il lavoro domestico non retribuito, fornendo servizi pubblici, infrastrutture e politiche di protezione sociale e promuovendo le responsabilità condivise all’interno delle famiglie;
  • garantire la partecipazione femminile in ambito politico ed economico;
  • garantire l’accesso alla salute e alle scelte in campo sessuale e riproduttivo;
  • avviare riforme per garantire alle donne uguali diritti di accesso alle risorse economiche e alla proprietà della terra;
  • garantire l’accesso paritario ai vari gradi di istruzione;
  • rafforzare l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Sei conferenze internazionali organizzate dall’ONU hanno posto questi temi all’attenzione mondiale nell’arco del tempo: la prima a Città del Messico, nel 1975, poi a Copenaghen, Nairobi, Pechino, New York e Milano. La Conferenza di Nairobi ha avuto il merito di modificare radicalmente il punto di vista della questione: l’uguaglianza tra uomini e donne non è stata più considerata una questione isolata, ma collegata ad ogni sfera dell’attività umana. Da allora le donne sono state considerate attori fondamentali non solo per le tematiche femminili, ma per tutte le tematiche centrali per il progresso dell’umanità.

Ma il testo politico più rilevante e tuttora il primo punto di riferimento per le azioni in favore delle donne è la Piattaforma d’Azione approvata dalla Conferenza di Pechino. Lo slogan dell’evento era ‘guardare il mondo con occhi di donna’: ha determinato infatti il passaggio dalle politiche di puro riconoscimento della parità uomo-donna alla consapevolezza che per raggiungere l’uguaglianza di diritti e di opportunità sia necessario riconoscere le differenze di genere e valorizzare l’esperienza, la cultura, i valori di cui le donne sono portatrici in ogni campo. Inoltre, per la prima volta è stato affermato che ‘i diritti delle donne sono diritti umani’.

A seguito della Conferenza di Pechino, in molti Paesi sono state applicate le quote minime di presenza femminile all’interno degli organi politici istituzionali. I parlamenti di diversi Paesi hanno visto così aumentare la percentuale di seggi ottenuti dalle donne. L’esempio più interessante è quello del Ruanda, dove le deputate, partendo da un 30% iniziale di quote riservate, sono aumentate di anno in anno fino ad arrivare al 64% del totale. In generale, l’aumento del numero di donne nell’attività politica ha una ricaduta su tutta la società, poiché in parlamenti così composti vengono approvate più leggi in favore delle donne, come quelle contro la violenza di genere.”

Per chi volesse saperne di più sull’Agenda 2030 questo è il link.

Qui un altro post sull’Obiettivo 5 e la parità di genere in Europa, in particolare.

Qui trovate il post su un altro obiettivo, l’Obiettivo 14, sulla vita del mare.

Qui invece affronto il tema dei pregiudizi di genere in famiglia.

Foto di copertina: donne al mercato in Gambia, foto di Hella Hnijssen.