Mangiare, cucinare, coccolare

Nonna-cibo, cibo-nonna: un abbinamento concettuale perfetto, e non solo nei primi anni di vita.

Tutte noi ricordiamo piatti meravigliosi preparati dalle nostre nonne; ricordiamo il loro sapore, il profumo,  gli accostamenti, anche il disegno dei piatti in cui venivano serviti, la sala da pranzo o la cucina dove ci sedevamo per gustarli.

Emotivamente, ci ricordiamo di ricette che scaldavano il cuore, che consolavano delle sbucciature alle ginocchia e delle litigate, che proteggevano dal mondo tutto, calde d’inverno e fresche d’estate.

Razionalmente, quei piatti costituiscono il legame con il nostro passato, fondamentali per la costruzione del nostro background: chi siamo, da dove arriviamo, quali radici ci hanno nutrito e sostenuto. Siamo partite da lì per esplorare il mondo (anche sotto il profilo culinario) e  per conoscere il nuovo.

Mia nonna paterna era di Bologna. Sapeva preparare benissimo tutte le buone cose che le donne emiliane hanno fatto per generazioni, dal ragù agli agnolotti, dagli arrosti alle lasagne. Quando eravamo in vacanza mia mamma si lamentava perché nonna Clara arrivava con un grosso pezzo di carne cruda all’ora di colazione, in mezzo al profumo di caffè, e voleva decidere insieme come cucinarlo. Poi comunque era sempre perfetto. Ma da brava emiliana, sul pesce non aveva fantasia: arrivava soltanto alla pescatrice lessa con maionese. Sapeva che il pesce faceva bene, ma per lei non apparteneva alla grande categoria del cibo-piacere, come venivano considerati i tortellini in brodo e il bollito misto. E cibo-dovere era anche lo yoghurt della mattina, che mia nonna serviva con lo zucchero, ma tiepido, scaldato a bagnomaria!

Mia nonna materna era di Livorno, quindi tutta una cucina differente: pappa col pomodoro, caciucco e tanti, splendidi, perfetti fritti. Nonna Giulia aveva la sua padella nera, che nessuno poteva toccare né lavare, e grazie a quella e a una pastella delicatissima faceva inarrivabili miracoli. Poi faceva anche un ottimo minestrone, ma questo da bambina non lo sopportavo perché la sua ricetta prevedeva  verdure tagliate a pezzi grossi, metodo che manteneva i sapori ben distinti ma non amalgamati, più accettabili per me piccolina.

Ora sono io la nonna. E in cucina non sono brava come nessuna delle mie nonne: mi dico, per assolvermi, che è perché non ho mai avuto il tempo e l’attenzione per approfondire l’argomento. Ma le basi le ho ereditate, e poi coltivo un orto e so dove comprare ingredienti di qualità. Quindi, per Jimi posso considerarmi una nonna cuoca sufficientemente brava.

 

La fotografia di copertina è di Kahn Chen.