Ragazze e softball, una storia di impegno

Non ho mai fatto seriamente sport nella mia infanzia: un po’ qui e un po’ là, ho saltellato tra nuoto, ginnastica, pattinaggio sul ghiaccio, un po’ di tennis, minibasket perché ero alta… Poi, negli anni ’70, oltre allo studio altri impegni, scoutismo e politica, mi prendono il tempo e il cuore.

Con i miei quattro figli replico: il nuoto perché bisogna saper galleggiare (con relative saune isteriche negli spogliatoi per vestire e asciugare le tre lunghe chiome delle fanciulle), poi tentativi vari: danza, minibasket, calcio e volley. Quest’ultimo finalmente trova nella mia terza, Silvia, un terreno fertile. Si impegna, ha buoni risultati e lo sport di squadra mi sembra la aiuti a organizzarsi e a essere solidale con un gruppo di pari. Ma non riesco a seguirla molto, e in lei si radica l’idea che è meglio che la mamma non ci sia a far tifo…

Per la quarta, Alice, nata nel 1991, la ricerca di uno sport adatto si fa seria quando dopo due anni di ginnastica artistica, la sua statura fuori dal comune la rende outsider a 8 anni e, secondo gli standard della disciplina, “inadatta ad avere un futuro agonistico”(sic!).

Propongo il volley, ma Alice, come spesso gli ultimi, vuole distinguersi dalle sorelle. Abitiamo a Milano nei pressi di un campo da baseball, il Kennedy; chiedo informazioni nella speranza di proporle un’alternativa, ma ci dicono che su quel campo non c’è alcun settore giovanile.

Andiamo comunque a vedere una partita della squadra seniores di softball. Io e Alice ci guardiamo: mmm, bello… Parlo con l’allenatrice che mi propone di trovare una mezza dozzina di altri bambini sui 9 anni, maschi e femmine, per iniziare una squadretta tipo Peanuts.

Non so nulla di baseball, e tanto meno di softball (se anche voi non ne sapete niente visitate il sito della Federazione), ma mi attira l’idea di uno sport all’aperto, elegante e senza contatto fisico, dove aleggia un certo spirito spartano e, soprattutto, dove sembra trovare il suo spazio ogni tipologia di atleta (alto, basso, magro, grasso…).

Il presidente della società (allora Ares Milano) è Faso, il bassista di Elio e le storie tese: bene! il connubio musica e sport mi solletica oltremodo. Così, mi do fa fare: coinvolgo compagni di scuola e famiglie che conosco, chiedo spazi in palestra per il periodo invernale e via, si inizia.

Da allora sono trascorsi 15 anni: i sei compagni di scuola di Alice sono diventati un settore giovanile di oltre 140 membri dai 6 ai 21 anni, che ho diretto fino a due anni fa. Alice ora ha 25 anni, gioca al massimo livello raggiungibile in Italia, fa parte della Nazionale e sogna di andare alle Olimpiadi di Tokyo. Inoltre dimostra notevoli doti da allenatrice delle atlete più giovani.

Durante questi anni ho scoperto un mondo nuovo. Per andare nelle scuole mi sono dovuta formare come educatore sportivo: li faccio giocare, ma cerco anche di far capire loro che oltre al calcio e alla pallavolo ci sono altri sport bellissimi.

La filosofia di questo sport è molto interessante. Attacco e difesa sono momenti separati. In attacco prevale l’aspetto individuale: ogni giocatore – in base a una turnazione obbligata – deve cercare di battere con una mazza una pallina che arriva con velocità ed effetti diversi e correre sulle basi cercando di farne il giro per conquistare un punto. In difesa prevale invece l’aspetto collettivo e cooperativo, dove ognuno deve rispettare i diversi ruoli e fare in modo che la sua azione si coordini con quella degli altri per eliminare gli avversari (con tre eliminazioni i difensori e gli attaccanti si scambiano i ruoli).

Anche se sono richiesti gesti atletici che coinvolgono tutti gli arti e i sensi, fondamentale è la concentrazione: la relativa complessità delle norme obbliga a riflettere prima di agire… semplice, no? Nelle scuole questo permette dinamiche interessanti, consentendo anche ai bambini /bambine meno aggressivi e impulsivi di essere valorizzati.

Oggi questa attività di promozione dello sport nelle scuole mi impegna mediamente circa 20 ore alla settimana e vengo in contatto con realtà molto vivaci della periferia milanese. Ho poi messo in piedi da una decina d’anni un camp estivo (a giugno e a settembre) presso il campo Kennedy, in un’oasi di verde dove i bambini giocano tutto il giorno e godono di una libertà invidiabile in città.

Sono anche impegnata nello sviluppo di un progetto per la diffusione del softball femminile tra realtà multiculturali disagiate, in quartieri milanesi difficili come Quarto Oggiaro e il Giambellino. Ragazze nell’età delicata e difficile delle scuole medie, che non farebbero alcuno sport, sono supportate nel creare una squadra che si allena tutto l’anno, nella palestra scolastica fino a marzo, nel parco da aprile. L’attività è gratuita, grazie all’intervento di una fondazione internazionale e del CONI, oltre naturalmente al mio lavoro volontario. Il progetto vuole favorire l’integrazione, lo spirito di squadra, la crescita armoniosa nel movimento, la consapevolezza del proprio corpo, oltre a stili di vita e di alimentazione corretti. Non mancano i problemi nell’impatto con la cultura di origine. Un paio di esempi? Per le ragazze di origine maghrebina il Ramadan rende molto difficile continuare l’attività sportiva senza poter bere o mangiare, mentre per le cinesi giocare sotto il sole potrebbe rappresentare un problema, dato che la pelle bianca è considerata un requisito di bellezza. Ma le soddisfazioni e la gioia di veder crescere in tante ragazze l’autostima e la capacità di muoversi senza paura sono impagabili.

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E, come nonna, ovviamente vado al parco con Giona. Se ha voglia, non gli nego due giri di mazza e i tiri della pallina, cosa che, naturalmente, attira file di bambini. Giona, tutto fiero, è felice di esibirsi e anche di aiutare gli altri a battere un fuori parchetto!

 

In questo post e in quest’altro, altre esperienze di Giovanna con suo nipote Giona.