Rina, la Via Emilia e la memoria

Io e Rina Poletti ci siamo conosciute online. Non ricordo esattamente, ma credo di aver letto inizialmente un commento entusiasta su di lei e il suo lavoro di maestra di sfoglia in qualche post di Facebook. Questa signora sorridente e dall’aria di una che sa quel che fa mi ha subito incuriosito e quello che ho scoperto su di lei mi è  decisamente piaciuto.

Allora le ho chiesto di poterle fare un’intervista. O, meglio, le ho scritto un paio di domande e poi l’ho lasciata raccontare, perché, chi la conosce lo sa, quando Rina parla di sé, della sua storia, della sua famiglia e del suo lavoro è un torrente in piena, un flusso ininterrotto di racconti, ricordi ed emozioni che è molto difficile arginare. L’intervista è diventata un post sul mio blog.

Da allora io e Rina siamo rimaste in contatto virtuale. L’ho seguita nei racconti dei suoi corsi, anche attraverso un emozionante road trip dall’altra parte dell’oceano. Ho letto con piacere le sue profonde riflessioni sulla vita, il tempo, la famiglia. Lei ha seguito il mio blog e la mia newsletter, ogni tanto ci commentiamo e ci mandiamo saluti affettuosi, anche attraverso una cara amica comune, Francesca, a cui vogliamo molto bene tutte e due.

Rina è una donna sempre in azione, ottimista e positiva, e non si tira indietro di fronte a nessuna sfida. L’ultima avventura è stata avviata insieme ad alcuni soci: legati profondamente alla loro regione e alla sua cucina, hanno deciso di aprire Via Emilia, un presidio dell’Emilia Romagna a Milano, nella centralissima via Moscova. E’ una bottega gastronomica, e insieme un piccolo ristorante che, con un veloce spostamento di tavoli, si trasforma nell’Accademia della sfoglia di Rina. Circa un mese fa Rina mi ha telefonato (e così ho sentito per la prima volta la sua voce) e mi ha chiesto se avrei avuto piacere di introdurre la serata di presentazione alla stampa del loro nuovo locale.

‘Ho pensato a te, credo che tu sia la persona giusta, conosci bene Milano e sei una geografa, condivido quello che dici nel tuo blog e mi piace come lo scrivi, ecc. ecc.’. Non sono un’esperta oratrice e parlare in pubblico mi comunica una certa apprensione; ma come potevo dire di no a una richiesta così carina e gratificante? E così ho accettato e l’ho ringraziata. Non me l’aspettavo, ma Rina mi ha anche chiesto quale sarebbe stato il mio compenso. Non mi è stato difficile rispondere che l’avrei fatto solo per amicizia (che ancora, per il momento, era solo virtuale, ma si sa che la scintilla può scoccare ovunque ci sia ossigeno).

D’altra parte, è vero che il mio blog sia in linea con la figura di Rina e con il suo progetto. Anche se si occupa degli innumerevoli aspetti della società attuale osservati con gli occhi di una nonna (donne, bambini, solidarietà, sostenibilità, arte, cultura, ecc.), un’attenzione particolare viene data all’importanza della memoria e alla necessità di tramandare alle giovani generazioni il nostro passato.

Il termine memoria viene abitualmente associato a grandi (e tragici) eventi della Storia recente, come ci ricordano la fondamentale Giornata della Memoria (vedi questo post)che si celebra ogni anno a gennaio, oppure il quotidiano lavoro di associazioni come quella delle Madri e Nonne di Plaza de Mayo. O, ancora, la testimonianza dei principali eventi dei nostri tempi attraverso i reportage di scrittori, giornalisti, fotografi (vedi la mia recensione della mostra che si chiama, appunto, Memoria del grande James Nacthtwey). Ma il concetto di memoria ha un’accezione più ampia e più varia.

C’è la memoria che nasce dalle singole storie di ogni famiglia e che deve essere raccontata ai più giovani (per iscritto o anche a voce), per non essere annullata nell’arco di un paio di generazioni; ne è un esempio la storia della nonna Clelia. Questo tipo di memoria è da tempo nei miei pensieri, e rimpiango molto di non aver fatto raccontare di più nonni e zii, ormai scomparsi, sulle storie della mia famiglia. Ma farò il possibile perché mia nipote e gli altri che verranno conoscano relazioni, avvenimenti, episodi  di quel passato  che è anche il loro.

C’è la memoria storica dei luoghi: paesaggi, ambienti, architetture, vie di comunicazione, siti storici e artistici;  anche di questa memoria parlo spesso, particolarmente importante per me geografa e anche per chi si occupa di turismo.

C’è la memoria del lavoro, della sapienza delle tecniche agricole e artigianali che hanno portato all’alto livello del Made in Italy, ma che rischia di perdersi per varie ragioni, non è importante valutare se negative o positive, comunque reali: i cambiamenti dell’economia, le conquiste della tecnologia, le trasformazioni del mercato e del tessuto produttivo, la concorrenza di altri paesi, ecc.

C’è anche la memoria del cibo, che si accompagna da un lato al mantenimento di tecniche sostenibili di coltivazione e allevamento, simili a quelle utilizzate da secoli dai nostri contadini, dall’altro alla conservazione di cultivar preziosi, ma ormai abbandonati, perchè poco smerciabili sui mercati attuali. I nostri bambini non conoscono nemmeno l’esistenza di molte specie di frutta e verdura che erano invece abituali nelle campagne di un tempo e sulle tavole dei nostri nonni.

Quindi si tratta di una memoria  che tramanda la cultura che nasce dalle tradizioni. Questo non significa, come a volte viene erroneamente inteso, nella chiusura verso l’esterno e nella paura del diverso. Anzi, vuol dire proprio apertura al mondo, che si traduce nel contributo attivo di ognuno di noi alla cultura di tutta l’umanità.
Viaggiare, conoscere altri popoli e nuovi modi di vivere, assaggiare altre cucine è bellissimo e arricchente, ma non deve essere in contrapposizione all’esigenza di valorizzare la nostra tradizione.

Per esempio, dall’Expo in poi Milano ha avuto un boom incredibile di locali per la ristorazione. Intere vie di piccoli negozi si sono trasformate in strade votate all’offerta di cibo. E anche Milano è finalmente diventata come tutte le metropoli del pianeta, dove si può decidere di cenare scegliendo tra tutte le cucine del mondo. Proprio per questo,  non poteva mancare la cucina emiliana, una delle grandi regine della cucina italiana.

D’altra parte, siamo anche consapevoli che la nostra cucina ha una tradizione di assoluta eccellenza, come ci è riconosciuto ovunque nel mondo e come leggiamo ogni giorno anche in rete. I siti, i blog, i gruppi nei social network che parlano di cucina italiana e che si rivolgono ai follower di cinque continenti sono sempre tra i più seguiti e apprezzati, le ricette che propongono vengono praticate in migliaia e migliaia di case, in paesi anche lontanissimi dal nostro.

Le nostre straordinarie materie prime, il loro legame con il territorio, la sapienza nel trattarle, sono infatti una delle maggior ricchezze che possediamo. Forse è inutile ribadirlo, lo sappiamo tutti, solo che a volte lo si dimentica. Meno male che a ricordarcelo ci sono persone come Rina.

Credo sia stata proprio a causa di questa sintonia sul tema della memoria che Rina ha pensato a me come testimonial del suo locale. Rina è infatti una ricercatrice, una studiosa che, attraverso il suo lavoro sulla pasta sfoglia, fa ricerca storica e antropologica della memoria.
Rappresenta il punto di contatto tra antico e moderno, tra storia e presente, mettendo anche, come vediamo con quest’ultima avventura, le basi per il futuro.