3 immagini da lasciare alle mie nipoti sul mondo com’era

Che il mondo sia cambiato dalla nostra infanzia è cosa ovvia. Che stia continuamente e sempre più velocemente trasformandosi è una verità così banale che non vale neanche la pena di soffermarcisi.

Ci sono cose che sono migliorate, innegabilmente: la tecnologia può essere meravigliosa e ogni giorno mi stupisco di ciò che oggi diamo già per scontato, ma che non ha neppure 20 anni di vita. Non parliamo della crescita esponenziale di nuove opportunità di lavoro, di viaggio, di vita, delle possibilità di conoscere, entrare in contatto, comunicare, informarsi.

Che molte cose siano cambiate in peggio è anche questo inutile dirlo: la paura, o anche solo il timore in una parte del cervello, di assistere a un concerto o partecipare a una manifestazione è una cosa che da ragazzi non conoscevamo. Hai voglia a dire che è stupido aver paura: anche se resta confinato in un angolo della mente, è qualcosa che cambia la progettazione di vita.

Così come la sofferenza di milioni di persone, che alla nostra generazione è stata risparmiata come esperienza reale, ma che adesso tocchiamo con mano, ai nostri confini, sulle nostre coste, nelle nostre città. Non serve chiudere gli occhi o fare proclami: il mondo è qui, insieme a noi, e modifica il nostro concetto di futuro.

E questo, nel bene e nel male, è il mondo in cui cominciano a crescere i nostri nipoti e noi non possiamo far altro che augurare loro buona fortuna.

I temi che riguardano le trasformazioni tra passato e futuro attraverso il presente non possono certo essere ridotti a pure curiosità e i tempi del cambiamento sono così veloci che sembrano già tempi storici, da analizzare con la scientificità di un ricercatore.

Però ogni tanto mi vengono alla mente delle vecchie immagini del quotidiano, banali nella loro normalità, che testimoniano la grande differenza tra l’epoca in cui sono cresciuta e quella attuale, e che penso sia bello raccontare  per lasciarle in eredità alla generazione delle mie nipoti. Sono fotografie di qualcosa che leggeranno nei libri o vedranno nei film, del mondo com’era, appunto, ma che la loro nonna ha vissuto in prima persona.

Eccone tre.

  1. Mia madre che si affaccia alla finestra nella strada di periferia milanese dove vivevamo. Mio padre le ha appena detto ‘Guarda in strada, c’è qualcosa per te”. Mia mamma si protende curiosissima, e noi bambini facciamo altrettanto, più curiosi di lei. Sulla strada grigia di asfalto si staglia splendente una 500 bianca, candida, pulitissima. La vediamo subito perché, in tutta la strada, non ci sono altre macchine parcheggiate. Clic.
  2. L’entrata in automobile nella piazza dei Miracoli a Pisa, durante un viaggio attraverso l’Italia. Mio padre è alla guida. Io, una ragazzina, e mio fratello, un bambino, seduti sui sedili posteriori. Per tutto il viaggio abbiamo guardato dai finestrini, ma ora le nostre teste si avvicinano nel varco lasciato dalle spalle dei nostri genitori. Qualcosa di incredibile appare davanti a noi: il prato verdissimo e deserto, su cui si stagliano candidi la torre pendente, il duomo e il battistero. Lo stupore e la meraviglia ci fanno spalancare occhi e bocca. Clic.
  3. Centri Rousseau, campeggio in Sardegna. Si decide di fare la gita a Barumini. Si parte, si arriva al pomeriggio, tre monitori (come erano chiamati gli educatori, io ero una di loro) e venti, venticinque ragazzini. Barumini è stupendo, passano le ore, si fa sera. Dove dormiamo? Ognuno ha il suo sacco a pelo, ci si accomoda per dormire nelle millenarie stanze a cielo aperto del complesso nuragico. Clic.

Oggi in quella stessa via di periferia è quasi impossibile trovare parcheggio in strada e nemmeno sul marciapiede. Piazza dei Miracoli è chiusa al traffico automobilistico, ma non a quello dei turisti, che la affollano chiassosi e colorati in ogni ora del giorno e della notte. Barumini è giustamente protetto, tutelato anche dall’Unesco, con visite rigidamente organizzate (tempi, tariffe, regole) da una fondazione. Clic. Clic. Clic.

Magari, prima o poi, farò un libretto di questi ricordi, da lasciare a mia nipote per quando avrà voglia di leggerli. O magari li userà perché sarà una scrittrice (penso sempre alla fatica di documentazione sul passato, anche non lontano, per i giovani scrittori). Ma, cosa dite, lo scrivo a mano?

 

 

Per chi avesse dei dubbi, la mia casa di allora, e la strada in cui si trova, negli anni Cinquanta o Sessanta.

via Montegeneroso 35, anni Cinquanta

Qui potete leggere un altro post su ‘come eravamo’, o meglio ‘come viaggiavamo’.