La nonna di Jully, Re dei Citrulli

Girando in rete alla ricerca di filastrocche mi sono imbattuta in un tipo che ne sembra proprio il re. Non a caso lui si fa chiamare Jully, il Re dei Citrulli… Ho visto il suo sito, i suoi video, li ho fatti vedere anche a un pubblico esigente (!) e mi ha convinto. Poi ho letto anche una sua intervista e (udite, udite!) tutto il suo amore per le filastrocche è nato dalla nonna!

Così gli ho scritto e gli ho fatto qualche domanda.

Ci racconti un po’ com’era tua nonna?

Mia nonna, la mamma di mio padre, si chiamava Valeria. Era nata il 19 marzo del 1920, nel giorno di San Giuseppe, della festa del papà e anche dei bigné. Era nata ad Albano Laziale ai Castelli, ma abitava da quando era piccola in via del Corso al 509: raccontava che nel suo palazzo abitava il grande Ettore Petrolini. Invece al bar dove lavorava sua sorella, in via del Babuino, andava sempre Trilussa a prendere il caffè e a declamare le sue poesie, raccogliendo ogni volta intorno a sé un capannello di avventori felici di ascoltarle.  Sua madre, la mia bisnonna, si chiamava Virginia e la nonna mi raccontava che sapeva a memoria tutta la Divina Commedia, Paradiso e Purgatorio compresi.

Che cosa ti ricordi di lei?

Come tante nonne, mia nonna per ogni occasione aveva la sua frase fatta, il suo proverbio, la sua breve filastrocca, era il suo modo di sottolineare le parole, i commenti e i consigli che vengono dati ai bambini per crescere e imparare le cose del mondo. Non aveva un dialetto particolare, ma parlava come parlano i romani, con un italiano molto colorito e cinematografico. Molte delle filastrocche che nonna recitava sono probabilmente conosciute da altri papà e mamme della mia età, perché la tradizione orale era ed è un patrimonio comune nel sottobosco della nostra memoria e della nostra cultura.

Ci reciti per favore qualche filastrocca che ti ha insegnato lei?

Una era

Alla scuola va il bambino, ai suoi campi il contadino,

in caserma va il soldato, al palazzo il magistrato,

tutti attenti e con piacere, ognun faccia il suo dovere!

Poi,

Sedia sediola, Giggetto va alla scuola,

se porta la sediola, se porta il canestrello,

pieno pieno di pizzutello;

la maestra je fa festa e lo butta dalla… finestra!

Oppure questa, di argomento sindacale, che diceva:

E’ tardi, è tardi! e lu padron sospira, dice che è stata corta la giornata,ma je risponde il mastro de bottega “è stata corta, un cacchio che te se frega!”

Forse però quella che mi ha più influenzato anche nella musicalità delle parole è  “Trucci, trucci cavallucci per le vie della città…” che forse molti conoscono e la cui aria ha ispirato le prime filastrocche che ho scritto.

Tua mamma, la nonna dei tuoi bambini, è altrettanto ispiratrice?

Mia mamma è stata sicuramente per me ugualmente importante, perché lei è la fantasia, è l’emozione per le piccole cose, è la creatività manuale e ludica. Mia madre ha avuto sette nipoti e a ognuno di essi incredibilmente ha trasmesso la sua indole. Lei cuce i grembiuli e le sacchette per la scuola, s’inventa prima di Natale dei bellissimi calendari dell’avvento, sa fare barchette, aeroplani e cappelli di carta. Quando va a spasso con i bambini si emoziona per ogni piccola cosa e riesce in questo modo a trasmettere il senso della vita.

Filastrocche le avrai quindi sentite fin da bambino… Ma quando e perché ti è venuta l’illuminazione?

Come dicevo, le prime due filastrocche le ho scritte usando la musica e la metrica di Trucci trucci cavallucci. Era il gennaio del 1998. Ho cominciato a scrivere quando ho sentito l’esigenza di mettere nero su bianco quello che avevo in testa: il mio bagaglio di giochi di parole, la voglia di fermare sul foglio tutte le idee e le frasi che usavo nella vita e lavorando con i bambini. Ma la vera illuminazione l’ho avuta quando ho scritto la mia terza filastrocca, che si chiama Il bruco sognatore e che ha dato il titolo al mio primo libro (autoprodotto nel 2002) . Mi ricordo ancora stavo andando a piedi al Municipio per una commissione, quando mi sono entrate in testa le prime parole della filastrocca: “sull’asfalto grigio e pesto un bel di’ mi sono desto e scrutando un angolino vidi uscire un fiorellino….” Allora mi sono seduto al tavolino di un bar e ho scritto di getto tutta la filastrocca su un tovagliolo di carta. Mentre scrivevo, leggevo le parole nella mia testa e, in contemporanea, le vivevo teatralmente,  fino all’ultima rima che dice “…tutti e due con gli occhi a palla, io bambino e lui farfalla”.

E da allora, quante filastrocche hai scritto? E le scrivi da zero o te le fai suggerire da un’occasione particolare?

Ad oggi ho scritto 1657 filastrocche. In realtà, mi sono fermato da qualche mese perché ho bisogno di fare un po’ d’ordine in tutto quello che ho scritto. I primi anni ne scrivevo quasi una al giorno, a volte anche due o tre, poi pian piano sono diminuite ma non sono ancora finite. Ormai sono quasi vent’anni che scrivo e posso dire che per scrivere ci vuole fantasia, conoscenza e ordine. Quando comincio a scrivere una filastrocca, non so quasi mai dove andrà a finire. Dopo le prime due righe mi lascio trasportare tra i paletti delle rime, che ti fanno saltare da palo in frasca, ma poi sfociano nelle parole del finale che nasconde sempre una sorpresa, una morale o un insegnamento. Altre volte invece mi hanno commissionato delle filastrocche su temi specifici, come nei libri editi dalla Gribaudo Filastrocche da lavare e Filastrocche da vestire: in quel caso, le ho scritte quasi tutte a tavolino. All’inizio avevo paura che non venissero fluide e spontanee come le altre, ma poi mi sono ricreduto: anche quello dello scrittore è un mestiere e, se si conoscono le regole e si hanno gli strumenti, si può scrivere anche senza ‘illuminazione’.

Hai coniato un neologismo , ‘musicastrocca’. In che modo la musica arricchisce una filastrocca?

La parola musicastrocca non è stata inventata da me, ma da Rosanna Vano, la madrina della manifestazione Invito alla lettura che si svolge d’estate a Roma, fino a qualche anno fa nei giardini di Castel Sant’Angelo a Roma, mentre oggi continua nei vicini Giardini di Portoghesi di Lungotevere Castello. In realtà, la musica sta già nella filastrocca. Le parole nascondono le note e le note nascondono parole: do = dare, re = il sovrano, mi = mio, fa = fare, sol = sole, la = là,  si = va bene. Anche le filastrocche antiche spesso non si recitano, ma si cantano, oppure si imparano a cantilena come i bambini quando in coro ripetono una poesia a memoria.

Ci puoi suggerire un gioco da fare con i nostri nipoti partendo da una filastrocca?

Certo le filastrocche possono essere spunti per inventare nuovi giochi e allo stesso tempo esercitare la memoria. Per esempio si può giocare così: i bambini stanno in cerchio, che rappresenta uno stagno, con le mani aperte che sono le foglie dello stagno. L’adulto sta nel mezzo con una rana finta in mano (o anche solo con la sua mano) e dice “salta/ la rana/ sopra/ le foglie/ e quando/ si ferma/ la mano/ si toglie. Quando finisce la filastrocca la mano che viene toccata sulla frase “si toglie”  è eliminata, fino a quando non si rimane in due e uno solo vince. Ho scritto anche una brevissima filastrocca per quando finisce un gioco e bisogna mettere in ordine: “Facciamo un gioco, facciamolo in rima, mettiamo a posto il gioco di prima”.

Secondo te, dovremmo tutti, adulti e bambini, inventare filastrocche?

La scrittura, come la pittura, il teatro, il canto e ogni altra forma artistica espressiva, è un modo per far emergere ciò che hai dentro di te: tutti, grandi e bambini, possono e devono farlo. La filastrocca, poi, è ancora più liberatoria, perché la rima è libertà e divertimento letterario alla portata di tutti, e come in tutti i giochi più ci si gioca e più si diventa bravi.

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Bene, se volete saperne di più sul Re dei Citrulli non vi resta che visitare il suo sito (ah, si chiama Massimiliano Maiucchi, in verità…).