La yurta nel bosco

Lo so, forse sto diventando ossessiva: l’asilo nel bosco, bambini all’aperto anche d’inverno, la necessità di farli tornare alla natura, di permettere loro di capirne i meccanismi e le opportunità, la Terra come madre da cui farsi accogliere e coccolare…

Di queste e di altre cose ho chiacchierato ieri con Francesca che, dopo un passato di pubblicitaria controcorrente a Milano, vive con la sua famiglia (marito e figlia di 8 anni) in un posto speciale, La yurta nel bosco.

Ma non ho dovuto andare molto lontano, solo a Montrigiasco, una frazione di Arona molto vicina a casa mia. E’ davvero incredibile come in un piccolo territorio come il Vergante siano fiorite tante piccole grandi intelligenti iniziative: ma probabilmente in ogni territorio del nostro Paese esistono, si tratta di riuscire a scoprirle.

Dunque, dicevo: La yurta nel bosco è un luogo, ma è anche un’associazione culturale che da qualche anno propone alle famiglie e alle scuole attività improntate alla pedagogia della natura.

I bambini dai 4 ai 10 anni sono il pubblico a cui si rivolge la yurta, anche se di recente l’età massima è stata alzata a 12 anni, perché molti ex piccolini non accettano di sentirsi esclusi da questo spazio che considerano un po’ anche loro.

Le classi della materna e della primaria fanno la ‘gita’ (com’è difficile sradicare un linguaggio così profondamente metabolizzato…) alla yurta e al suo bosco, oppure è la yurta a spostarsi (idealmente) per progetti legati all’ambiente dove è inserita la scuola.

I percorsi sono diversi a seconda delle età, ma tutti prevedono dei momenti teatrali, musicali, conoscitivi, creativi; poi si mangia, si gioca, ci si arrampica sugli alberi, ci si diverte insieme.

D’estate, dalla fine della scuola per alcune settimane, la yurta propone alle famiglie campi estivi. Nelle altre stagioni, per due volte al mese nel weekend, si organizzano laboratori: ma non pensate ai ‘lavoretti’, assolutamente no. In questi laboratori non è necessario produrre: è invece fondamentale fare esperienze tra i colori, i suoni e gli odori delle diverse stagioni del bosco. Poi, se qualcosa si produce (può essere una mangiatoia per gli uccelli, uno strumento musicale, una lanterna…) non è fatto per essere portato a casa, ma per restituirlo all’ambiente da cui proviene, generando altre esperienze.

Anche i genitori possono restare, per rilassarsi, leggere, ma se lo desiderano sono invitati a partecipare. Nonni per ora non ce ne sono ancora stati, ma la cosa succederà (ed è un consiglio), se non altro perché ho intenzione di portare Jimi alla yurta quando mi verrà a trovare la prossima volta.

L’équipe che progetta e lavora con i bambini è molto interessante e competente. A parte Francesca, coordinatrice e tanto altro, c’è un’altra Francesca, un’amica a cui voglio bene, artista, musicista e attrice (ma è quasi riduttivo definirla così), un agronomo, Paolo, che già conoscevo perché è l’anima del Gruppo Abele di Montrigiasco, poi Mara, educatrice, Raffaella e Valentino, teatranti (ma anche questa è una definizione insufficiente), Elena, psicologa che si occupa (anche) dei gruppi di formazione per adulti.

Comunque vi invito a visitare il loro sito, in cui troverete molte più informazioni di quelle che posso fornire io. Dal sito è tratta anche la foto di copertina.

Ah, per chi non sapesse che cos’è una yurta, è una tenda della tradizione mongola, casa nomade per eccellenza e con zero impatto sull’ambiente naturale.