Nonno Carletto

Ogni tanto parliamo nel blog anche dell’altra metà del cielo, cioè dei nonni (maschi). L’occasione è il racconto di Paola, che ricorda il nonno Carletto (come non amare un nonno con questo nome…). Da lui ha ereditato l’amore per la natura, per i viaggi e per la buona cucina. Devo ringraziarlo anch’io, anche se non l’ho mai conosciuto: da lui arriva a Paola quella conoscenza delle erbe che mi ha trasmesso e che mi ha accompagnato nei primi anni di vita in campagna.

Per raccontarci nonno Carletto, Paola prende spunto dalla situazione attuale, da questa vita surreale delle città ai tempi del corona virus, che costringe alla lontananza nonni e nipoti.

Io e nonno Carletto

Vedo dal terrazzo famiglie con bambini su altri balconi: in questa città silenziosa le loro voci mi danno conforto. Penso alla fatica di questi piccoli costretti a casa senza la vita di sempre. Ma penso anche ai genitori, alla difficoltà di gestire la giornata senza l’aiuto dei nonni, sempre pronti ad intervenire nei momenti di bisogno.

Pensare ai nonni mi ha fatto ricordare la mia infanzia: la loro presenza è stata fondamentale per la mia crescita. Anche se in quegli anni la guerra era appena finita, la mia infanzia credo sia stata decisamente fortunata.

Ho amato molto i nonni paterni. La dolcissima nonna Ada mi viziava e cercava di accontentarmi in tutto. Ma con il nonno Carletto avevo un rapporto davvero speciale.  Una vecchia foto scattata in Liguria vicino a Ventimiglia, a Latte nel 1946, mi ha fatto ripensare a quanto siano stati spensierati quegli anni, con un nonno straordinario che mi ha fatto amare il mare, i boschi e la natura.

Ricordo le lunghe passeggiate ai Balzi Rossi o alla Mortola (mi chiamava il suo cagnolino), a volte con il rischio di saltare su qualche mina abbandonata nelle campagne:  la guerra era davvero una realtà ancora troppo recente). Ma lui aveva un’incoscienza quasi infantile, mi sembrava non avesse paura di niente.

Altre estati andavamo in montagna in Svizzera. Si partiva al mattino presto, il nonno con il bastone, la caccia ai funghi era aperta. Nello zaino una tavoletta di cioccolato, un salamino e un pezzo di pane. Ho imparato a bere l’acqua dei ruscelli nel punto giusto, a conoscere, anche assaggiandoli crudi, le varie qualità di funghi, i nomi dei fiori e delle erbe, e le loro proprietà.

Nel giardino della vecchia bisnonna novantenne c’era un abete altissimo. Quando mi arrampicavo fino ad arrivare a metà altezza, assaporavo il piacere del vento che faceva dondolare i rami e il nonno mi chiamava Tarzan. Per farmi felice,  costruì su quell’albero una piattaforma di tavole che diventò la mia casa.

Quando il tempo non ci permetteva di camminare, mi raccontava storie dei suoi viaggi intorno al mondo nei primi anni del Novecento. Altro che fiabe… Tutte le sue avventure, accompagnate da quattro album di fotografie (era un appassionato, forse da lui ho ereditato l’amore per la fotografia), erano per me il momento più affascinante delle giornate piovose. Ma non posso dimenticare anche le passeggiate dopo la pioggia, quando si tornava a casa con i secchielli di alluminio pieni di lumache che tentavano di uscire.

Il resto del tempo nonno Carletto lo passava in cucina, altra sua grande passione (forse è per questo che sono diventata fotografa di cibi?). Preparava i cibi più strani, tra l’alta cucina francese di Escoffier e la tradizione messicana che lo portava a mettere il cioccolato amaro ovunque. A volte esagerava, come quando ci obbligava ad assaggiare  frittate di lumache e preoccupanti tortini di funghi.

Paola bambina e il ritratto di nonno Carletto
Questa una foto di me bambina, accanto al ritratto di nonno Carletto, realizzato da mio padre, Alberto Salvioni.

 

Questa la fortuna che ho avuto, questo il mio caro, amato nonno Carletto.
Dimenticavo: le mie scarpe erano di tela con suola di copertone d’auto…

 

In questo post potete leggere una ricetta di Paola, il pesto di rucola.