La mia famiglia di Taiwan

Kahn è mia nuora. Ma quanto poco mi piace questa parola… Più o meno come poco mi piacciono suocera o cognata. Un po’ meglio l’inglese che dice daughter-in-law, mother-in law e sister-in-law, anche se quel riferimento alla legge cancella gran parte dei sentimenti e delle emozioni; anche in tedesco è lo stesso. Decisamente meglio il francese, con i suoi belle-fille, belle-mère e belle-sœur (anche se a volte coprono realtà meno dolci del nome; ma forse questo è un luogo comune…).

Comunque, come dicevo, Kahn è mia nuora. E’ cresciuta in Nuova Zelanda, ma è nata a Taiwan, dove è rimasta fino ai dieci anni, quando i suoi si sono trasferiti ad Auckland. I suoi genitori sono i miei consuoceri, una parola che invece non esiste nelle altre lingue: in inglese si dice semplicemente in-laws, mentre in francese si parla complessivamente di belle-famille.  Bene, i miei consuoceri sono Lily e Robert, una coppia simpatica poco più anziana di noi. Sono gentili e affettuosi; parlano inglese, ma tra loro usano il cinese mandarino. Mi spiace davvero molto che vedano così poco le loro nipoti: la distanza con la Nuova Zelanda è notevole e le visite reciproche sono necessariamente ridottissime (meno male che c’è Skype…). Al confronto, i miei voli a Berlino sono in fondo poco più lunghi di un viaggio in metropolitana.

Quando è nata Jimi, la mia prima nipote, Kahn ha preferito che sua madre arrivasse dopo qualche tempo perché, diceva, altrimenti le avrebbe richiesto di seguire la tradizione di Taiwan, con le sue rigide regole per il parto e il puerperio. A qualcuna di queste regole tradizionali mi aveva accennato, per esempio all’obbligo per la neomamma di restare a letto per un intero mese. Anche se certamente ha le radici in epoche in cui per le donne non esisteva altro momento di pausa dal lavoro, è una consuetudine ancora molto praticata: ci sono addirittura hotel attrezzati per rispondere alle esigenze di questi periodi. Senza arrivare a questo, Kahn aveva certamente timore che sua madre le imponesse un lungo e forzato riposo.

Ho ritrovato queste e altre regole (molte delle quali comuni anche al resto della Cina) rileggendo uno dei racconti del libro Sopra il tavolo della cucina. Donne che raccontano storie, realizzato qualche anno fa con l’associazione Terra di Confine. E’ il capitolo narrato da Yu-lin, una signora di Taiwan che si è trasferita anni fa sul lago.

Ecco la storia di Yu-lin

“Io vengo da Taiwan, un’isola di oltre 23 milioni di abitanti a sud est della Cina.

La nostra storia più recente forse la saprete. Fino alla seconda guerra mondiale eravamo una colonia giapponese (e infatti mia madre parla perfettamente questa lingua), poi siamo passati alla Cina nel 1945. Nel 1949 il governo cinese del Kuomintang,  sconfitto da parte dell’esercito di Mao, si rifugiò a Taiwan. Da allora la Cina ci considera una sua regione, mentre noi siamo a tutti gli effetti uno stato indipendente, anche se non siamo ancora riconosciuti ufficialmente dalle Nazioni Unite.

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Negli ultimi 30 anni il mio paese ha avuto un rapido e impetuoso sviluppo economico, soprattutto nella parte settentrionale dove c’è la capitale Taipei. Così, l’attuale generazione, quella che ora ha 20 anni, è sempre più influenzata dalle abitudini occidentali, soprattutto da quelle degli Stati Uniti. I canali d’informazione si sono moltiplicati e anche le relazioni fra uomini e donne sono molto più libere.

Ma io ho più di 50 anni e la mia giovinezza è stata molto diversa, anche perchè appartengo a una famiglia tradizionale del sud, che è la zona meno sviluppata. In effetti fra le due zone del paese ci sono grandi differenze. Il nord è densamente abitato – basti pensare che la nostra isola è grande solo come due regioni italiane messe assieme -, ed è popolato quasi solo da cinesi venuti dalla terraferma. Nel sud vive tutta la popolazione autoctona, che abitava l’isola da prima della guerra, e da gruppi misti. Qui le tradizioni sono più sentite e il culto degli antenati è molto forte.

Per esempio, nella mia famiglia d’origine si vorrebbe che le figlie (ora si tratta delle mie nipoti) si fidanzassero solo dopo aver finito l’università. Le ragazze formalmente ubbidiscono, perché il rispetto per i genitori è ancora molto solido: se hanno una storia con un ragazzo, perciò, non lo dicono in casa.

Comunque, tuttora una relazione è sempre considerata seriamente: non esistono storie fatte tanto per ‘divertirsi’ e l’avventura di una notte è un’abitudine quasi sconosciuta. Io ho conosciuto mio marito al lavoro, dopo aver finito gli studi, ma prima di sposarci non siamo mai usciti da soli: potevamo vederci solo insieme agli amici, di fronte ai quali eravamo troppo timidi per scambiarci gesti affettuosi.

Il fidanzamento è ancora una tappa fondamentale, anche se è semplificato rispetto al passato. Comprende tre elementi: l’offerta dell’anello, l’offerta del denaro ai genitori della sposa (che oggi viene restituito alla coppia, come fondo per iniziare la vita in comune o un’attività economica) e l’offerta della torta ad amici e parenti. Un tempo, quando esisteva il concubinaggio, la distribuzione della torta era molto importante, perché sanciva pubblicamente il ruolo di moglie ufficiale.

Nella generazione precedente, mia madre ha avuto un matrimonio combinato a 18 anni. Ha conosciuto mio padre solo il giorno delle nozze. I matrimoni combinati erano veri e propri contratti stipulati dalle famiglie, che dovevano appartenere allo stesso gruppo sociale ed economico.

Il matrimonio deve essere porta a porta e finestra a finestra.

Il primo momento importante della cerimonia è quando la ragazza varca la soglia della casa dello sposo. Prima, però, la ragazza deve superare un piccolo fuoco e camminare su alcune tegole, tutte azioni che simboleggiano l’abbandono del passato. In effetti, l’idea principale che si ha del matrimonio è che la ragazza debba lasciare la sua casa per entrare in quella del marito, appartenendo ormai ad un’altra famiglia.

La ragazza che si sposa è come acqua versata da un secchio: non torna più indietro.

Secondo la tradizione, un indovino decide le date migliori in base al calendario lunare e alle sue capacità divinatorie:  consiglia qual è la data più adatta per contrarre il matrimonio e anche l’ora migliore per consumarlo. Gli indovini praticano il culto degli antenati, ma non appartengono ad alcuna religione; non entrano perciò in conflitto con le nostre due religioni principali, buddismo e taoismo, ma le affiancano. Spesso gli indovini sono erboristi, poiché la cura con le erbe è una branca fondamentale della medicina popolare.

Le numerose credenze relative alla gravidanza sono interessanti. Quando si è incinte non bisogna andare nei mercati all’aperto: vedere l’uccisione di un pesce o di un altro animale potrebbe impressionare la futura mamma. Una donna in attesa non può usare forbici o altre lame, perché il bimbo potrebbe nascere con il labbro leporino. Non può lavarsi i capelli o, almeno, deve asciugarli molto rapidamente. La casa, invece, non può subire riparazioni: non si deve imbiancare, tagliare un albero, spostare mobili, riparare un lavandino, comprare un nuovo elettrodomestico, perché tutto questo può modificare l’energia del bambino.

Non si devono mangiare o bere cibi freddi. Mentre il corpo dell’uomo è considerato caldo (più yang),  il corpo della donna è considerato freddo (più yin): quindi per il bene del bambino la mamma deve mantenere una temperatura più alta. Ma il freddo/caldo non riguarda solo la temperatura: freddi sono anche i cibi che contraggono l’energia del corpo. Per esempio, sono ‘freddi’ i piselli, le arance, le angurie, l’insalata, il pomodoro crudo. Sono ‘caldi’ i fagioli, le mele, le banane, l’aglio, il mango, il pomodoro cotto. Il riso invece è neutro.

Nel primo mese dopo il parto il cibo è molto importante, ogni piatto deve essere attentamente curato e cucinato. Si cuoce tutto con l’olio di sesamo. Molto diffuso è un preparato composto da quattro erbe ‘calde’: il Dong Quai (Angelica sinensis), il Chuan Xiong (radice di Ligusticum), il Bai Shao (radice di Peonia bianca) e il Shu Di Huang (Rehmannia glutinosa). Con queste erbe si prepara una zuppa che libera dalle impurità e genera sangue ed energia, i due elementi principali per il nostro equilibrio: l’energia dà calore e permette il movimento, il sangue nutre.

E poi c’è il durian, il re dei frutti: proviene dalla penisola indocinese ed è ritenuto molto energetico e nutriente. E’ un frutto speciale, perché è tanto buono quanto terribilmente puzzolente, al punto che è vietato introdurlo nei posti pubblici al chiuso. Ma se lo si mangia è molto gustoso e salutare, raccomandatissimo per il dopoparto!”

 

In questo post e in questo, altre due storie  di donne del libro Sopra il tavolo della cucina.

Anche in questo post e in questo si parla di esperienze di parto.

Nell’immagine di copertina ci sono Lily, Robert e Jimi quando era molto piccola.

Se volete conoscere meglio Taiwan potete andare a questo link e a questo.