Sia chiaro: per me il caffè casalingo significa caffettiera moka, e stop.
Anzi, familiarmente, la macchinetta, la cara, vecchia compagna di mattine, dopopranzi e, a volte, anche dopocena. Di fronte a lei, non c’è macchina espresso che tenga, non c’è cialda o capsula, anche se dal nome prestigioso. E poi sappiamo che la maggior parte delle capsule non è riciclabile, quindi non fanno per me anche per questo.
Meglio ancora se il caffè è macinato al momento, senza alcun dubbio. Ma in questo caso la pigrizia ha la meglio, di solito, e il mio macinino elettrico sta perlopiù nascosto in uno stipo. Ho comunque chiarissimo il ricordo di mio nonno con il macinacaffé in mano: pur non alzando un dito in casa, il compito di preparare il caffè per la moka è sempre stato suo, con il suo vecchio macinino a manovella.
La storia della moka
La moka nasce nel 1933, quando il signor Alfonso Bialetti, di Crusinallo, una frazione di Omegna sul lago d’Orta, quindi qui dietro casa mia, ha un’idea geniale. Per capire questa storia interessante bisogna però prenderla alla larga. In quei primi decenni del secolo stava finendo il tempo delle lavandaie in ginocchio sul torrente, immagine frequente e solo apparentemente bucolica, perché la fatica era immensa. Ci si stava meccanizzando: dalla Francia era arrivata la lessiveuse, un gran pentolone con un tubo sul coperchio, attraverso cui saliva un mix di acqua bollente e liscivia (il sapone da bucato di allora), che poi si riversava sui panni in una sorta di potente ammollo.
Ecco, questa la premessa. Il Bialetti, giovane fonditore, osserva la moglie che fa il bucato e pensa di sfruttare per fare il caffè la stessa tecnologia di fisica semplice. Così disegna una caffettiera un po’ strana, figlia della napoletana come forma (anche se certamente più futurista), ma con un concept completamente diverso. E le dà il bel nome di Moka, perché Mokha è il nome della città yemenita che sta al centro di una delle principali zone di produzione del caffè della pregiata qualità arabica.
Vent’anni dopo, con una guerra mondiale di mezzo, nel 1953, la moka Bialetti diventa definivamente famosa grazie a un cartone animato geniale. L’omino coi baffi, simpatico personaggio che parla con le lettere dell’alfabeto che si compongono sulla sua bocca, resta indelebile nella mente di grandi e bambini, anche se questi non bevono caffè. Davvero impossibile non ricordarlo.
“Le moka”
Un’occasione per parlare della moka, e non solo per usarla quotidianamente, mi è venuta dal delizioso libro Le moka, realizzato da un amico fotografo, Marco Del Comune, che ha deciso di documentare la ricchissima collezione di una coppia di altri amici.
Nella loro casa di campagna tra le colline liguri, Pier e Virginia hanno infatti raccolto negli anni decine di caffettiere, moka e non solo, e molti altri oggetti da cucina, più o meno consueti, più o meno antichi, tutti notevoli per il loro design bello e funzionale.
Il libro ci racconta in immagini una storia di oggetti che fanno parte del passato e che molti delle giovani generazioni (penso per esempio alle mie nipoti) non saprebbero riconoscere, né capire il loro utilizzo, un po’ come il telefono con la cornetta o il mangiacassette.
Grazie quindi a Pier e Virginia per averli conservati, e grazie a Marco per averli ben fotografati, preziosi still-life che hanno il sapore del ritratto.
Queste foto hanno sollecitato pensieri e ricordi, alcuni riportati nel libro. Ecco quello che racconta Giuliana Battipede:
È la mamma, la capiente, la Venere di Willendorf delle caffettiere. Arrivò un pomeriggio d’inverno insieme alla mia, di madre, una specchio dell’altra, e fu depositata sul tavolo giallo della cucina anni ‘60 con un’esclamazione trionfante e lo sguardo ridente: “Eccola!”. La cercava da tempo: bella, grande, utile, ma allegra, unica. A pranzo si poteva essere anche in 12/15 persone in certi periodi, d’estate o durante le feste, e comunque ogni giorno eravamo almeno in 6 più l’ospite mai preavvisato, l’usciere dell’ufficio di mio padre, Totonno. Dalla caffettierona si potevano ricavare 12, 8, 6 o 4 tazzine solo cambiandone il filtro, perciò era anche agile e versatile. Ha goduto della buona considerazione di mia madre a lungo, fino alla fine dei pranzi affollati, poi l’ho presa io. Ora, generalessa a riposo, si fa spazio con la sua pancia fra le altre caffettiere della piattaia, sempre pronta a servire.
Le moka, di Marco del Comune, grafica Bruna Chiarle, casa editrice Cinquesensi, Lucca.
Questo è il link dove possibile trovare Le moka Qui invece il sito di Marco del Comune.
Grazie a Maria Gramaglia, Natalia Saurin e Silvia Levenson, protagoniste dei ritratti con il libro.
Ora che le hai viste, così ben rappresentate nel libro di Marco del Comune, devi venire a toccarle per apprezzare ancora di più la collezione sentimentale, peraltro ancora in uso.
Virginia e Pier
Arrivo! E voglio cogliere anche tutto il sentimento!
Ma che bella questa storia! Proprio non conoscevo le origini della moka, che anch’io peraltro preferisco alla macchinetta. Grazie davvero. mi hai fatto venire voglia di un buon caffè!
Dai, magari prima o poi ce lo beviamo insieme!
Il ricordo del nonno con il macinino è semplicemente meraviglioso.
E Omegna mi fa sempre pensare a luoghi stupendi.
GRAZIE per questa storia molto interessante e per le immagini che davvero sono piccole opere d’arte.
Ovviamente condivido <3
Grazie, cara. Quando ti capita vieni a trovarmi e ti porto sul Lago d’Orta.