Mia nonna è un’ingegnere

Quante sono le sfumature della discriminazione? Quali ambiti tocca? La famiglia, il lavoro, la libertà di decidere per sé… Certo è che la disuguaglianza di genere ha da sempre interessato tutti gli strati sociali. Anche quelli privilegiati, anche quelli dove si pensa che una donna possa dirsi affermata, contenta della propria vita e del proprio posto nel mondo.

E la bellezza? Donne considerate troppo belle per essere anche intelligenti, altre intelligenti sì, ma troppo brutte per essere apprezzate socialmente. Ancora oggi l’aspetto fisico è una discriminante per la maggioranza dei colloqui da cui si spera un’assunzione e, comunque, è un argomento di discussione imprescindibile in molte professioni e contesti sociali.

Così come è inevitabile, in ogni intervista a donne di successo, la domanda su come sia possibile conciliare carriera e famiglia, lavoro e figli da allevare (sempre più spesso anche genitori da accudire). Un quesito all’apparenza misto di stupore e ammirazione, che però è solo un leggero strato di copertura per una voragine di pregiudizi.

Quando alla fine del liceo dovevo decidere cosa fare del mio futuro, mio padre ingegnere mi sconsigliò di iscrivermi al Politecnico, “perché lì le studentesse sono inevitabilmente brutte”, come per preservarmi da un immediato imbruttimento al varcare la soglia di quell’ateneo. Ero già femminista e quindi non credo sia stato questo commento a farmi scegliere Lettere, facoltà famosa invece per le belle ragazze, ma certo non l’ho mai scordato.

Mia nonna è un’ingegnere

Così, quando sono stata invitata a teatro, al Pacta dei Teatri a Milano, per assistere a “Mia nonna è un’ingegnere” (sì, proprio con l’apostrofo), ho accettato contenta, e anche un po’ in subbuglio: un pensiero è andato alle mie nonne, donne forti, intelligenti e coraggiose, ma che non hanno mai avuto, né sognato, una chance per studiare e affermarsi nel mondo del lavoro.

Lo spettacolo,  nato in collaborazione con l’AIDIA (Associazione Italiana Donne Ingegneri e Architetti), racconta le storie di donne ingnegnere, partendo dalle pioniere, quelle pochissime donne che nei primi anni del secolo scorso osarono affrontare il maschilismo imperante di questo corso di studi. Non che negli anni Venti in Italia ci fossero molte donne laureate anche negli altri campi, ma l’ingegneria è un’altra cosa: una professione marcatamente maschile, che prevede un approccio tecnico-matematico unito all’esercizio di un potere su un gruppo di lavoro. E quindi, come pensare che possa attagliarsi alla personalità di una donna nell’Italia di primo Novecento, che dovrà ancora passare attraverso il maschilismo fascista e aspettare ancora molti decenni per arrivare al suffragio femminile?

La prima laureata in Ingegneria arriva nel 1908, al Politecnico di Torino, ed è Emma Strada. Naturalmente tra i primi del suo corso, con il massimo dei voti, c’è da dirlo? Nata in una famiglia di ingegneri dalla mentalità aperta, lavora con il padre e il fratello, dirigendo anche dei cantieri in Calabria, in soprabito lungo e cappello imponente (ve la immaginate?). La sua carriera è lunghissima ed è stata tra le fondatrici dell’AIDIA, nel 1957.

E poi tutte le altre, che raccontano le loro storie grazie alla voce di Maria Eugenia d’Aquino, anima del Pacta, alla preziosa rifinitura dei testi di Patrizia Zelioli e al fil rouge di Giovanna Gabetta, prima donna laureata in ingegneria nucleare al Politecnico di Milano. Uno spettacolo divertente, a tratti commovente, comunque entusiasmante, che ha fatto sentire parte di una comunità di donne orgogliose e indomite anche una laureata in Lettere come me.

La regola dei tre metalli

Leggete come Giovanna ha cominciato il suo brillante racconto:

Mi sono laureata nel 1975, ero la prima ingegnere nucleare al Politecnico di Milano. Nonostante ciò ho faticato a trovare lavoro, forse avevo commesso l’errore di sposarmi. Non vi preoccupate, poi ci sono riuscita. Settore: ricerca industriale, mi occupavo di metalli e di come impedire che si danneggiassero.

Nel frattempo ho avuto tre figli, erano molto simpatici da bambini e lo sono ancora, ma non ho mai pensato di smettere di lavorare. La sola idea di dedicarmi ai lavori di casa mi deprimeva. Guadagnavo perché qualcuno li facesse al posto mio. So, però, cucinare, cucire, ricamare e fare pupazzi di pezza.

E negli ultimi 20 anni sono diventata abile a scrivere libri e articoli sulle donne che si occupano di scienza e di tecnica. Perché sul lavoro sì, ho spesso avuto la sensazione che qualcuno mi considerasse “di troppo”. Ha ragione la nostra Amalia (Finzi, n.d.r.). Per fare una carriera scientifica vale la regola dei tre metalli: servono nervi d’acciaio, una salute di ferro e un marito d’oro. Posso confermarlo perché mi sono sempre occupata di metallurgia…

Ma quando mi chiedono perché ho scelto ingegneria, di solito rispondo “per trovare marito”. Le mie sorelle me lo avevano detto: “O trovi un uomo lì, o sei proprio buona a nulla!”, d’altra parte l’impegno di studio è tale  che lo trovi lì o non lo trovi.  In effetti l’ho trovato o, meglio, lui ha trovato me. È stato molto bravo, perché nel 1970 al Politecnico c’era una ragazza ogni 100 iscritti. Entrare in un’aula piena di maschi non era facile, ti gridavano: “nuda, nuda!”, ma a me un paio di volte hanno gridato: “vestita!” e sono ancora doppiamente offesa, per il nuda e per il vestita…

Papà era un ingegnere di larghe vedute, non faceva distinzioni  tra figli maschi e femmine. Ed era a me che chiedeva sempre di aiutarlo nelle piccole riparazioni in casa. Mi ha insegnato a cambiare una gomma e a smontare lo scarico di un lavandino. Mio fratello non era interessato e,  infatti, ha preferito fare il chirurgo…

Multitasking per natura

Come anticipato da Giovanna e confermato poi da molte storie, un altro messaggio è arrivato dalla serata al Pacta. Niente di sorprendente, tutte noi lo sappiamo.  Le donne sanno benissimo conciliare scienza e arte: ingegnere sì, ma anche pittrici, scrittrici, attrici, musiciste, artigiane creative con lane e stoffe… Questo nonostante tutto. Ma c’è ancora tanto lavoro da fare.

pacta dei teatri, mia nonna è un'ingegnere

Questo un post di qualche tempo fa sulle ragazze e la scienza, sul gap ancora esistente (e non solo in Italia) nelle materie STEM (Science Technology Engineering Mathematics).

In questo post parlo invece di Amalia Finzi, ingegnera aerospaziale e donna di grande umorismo, che ho incontrato di nuovo con molto piacere l’altra sera al Pacta.