Questo post fa parte del mosaico di immagini del ‘come eravamo’ dedicato alle mie nipoti. Voglio che, quando diventeranno giovani donne, sappiano come era il mondo della nonna quando aveva la loro età. Voglio che riconoscano gli elementi di continuità e che scoprano, invece, quali e quante trasformazioni, positive o negative, sono avvenute. E poi, chissà, magari scriveranno: mi capita spesso di pensare a come sono preziose le informazioni sulle società del passato per chi deve ricostruire un’epoca, in un libro o in un film, anche solo per rapidi flashback.
I viaggi sono sempre stati un elemento determinante della mia vita. Cresciuta in una famiglia dove si viaggiava, geografa per formazione, quando ho cominciato a fare le vacanze da sola è stato naturale che fossero itineranti. Da allora ho sempre fatto viaggi on the road, non organizzati: la vacanza, infatti, per me è completa libertà e un’organizzazione esterna mi stava (e mi sta ancora) molto stretta.
Negli anni Settanta si partiva in tre o quattro amici (o anche solo amiche), decidendo la direzione, raramente una meta, quasi sempre lasciandoci trasportare dagli eventi. Potevano essere viaggi in moto, in auto, in treno o altri mezzi pubblici (quasi mai in aereo, costosissimo), oppure in autostop. Mamma e papà non erano molto contenti, ma c’era poco da fare e dovevano accontentarsi di un paio di telefonate (dalla cabina telefonica) che riuscivo a fare durante tutto il periodo. Dura, eh, essere genitori negli anni Settanta…
Lo zaino
In quegli anni il bagaglio stava tutto sulle spalle. Lo zaino era l’elemento indispensabile; all’esterno, sotto o sopra, piccole cinghie legavano un sacco a pelo, a volte anche una tenda da condividere. All’interno, vestiti di ricambio (pantaloncini, una gonna lunga, un paio di magliette, un golf), poi una k-way, infradito, un bikini e un asciugamano, pochissimo altro.
Nella tasca esterna le cose più preziose: un libro o due, documenti (carta d’identità e passaporto), eventuali biglietti per i mezzi di trasporto, almeno un paio di mappe, per seguire l’itinerario sulla carta, e un quadernetto su cui scrivere un diario, annotare gli indirizzi delle persone interessanti che si erano incontrate e i suggerimenti da dare ad amici che avrebbero rifatto il nostro stesso viaggio. Erano proprio piccoli quaderni di scuola: la Moleskine non c’era ancora. O meglio c’era, ma nessuno la conosceva, fino a che Bruce Chatwin non citò questo mitico taccuino nero nel suo libro Le Vie dei Canti, del 1986.
Quando si andava all’estero, nella tasca esterna c’erano anche i traveller’s chéques. Immagino che i più giovani non ne abbiano mai sentito parlare, ma allora non disponevamo di carte di credito o di debito, e il rischio di perdere tutti i soldi era alto. Questi assegni erano pensati proprio per i viaggiatori: erano a importo fisso e si acquistavano in banca prima della partenza, per poi cambiarli via via nelle banche dei vari paesi toccati dall’itinerario. La comodità era data dal fatto che nel caso di furto o smarrimento potevano essere facilmente rimborsati senza ulteriori disagi. E naturalmente c’erano i furbetti che riuscivano a viaggiare a sbafo giocando su questo.
Il furgone
Negli anni Novanta la maggior parte dei viaggi che ho fatto con la mia famiglia (mio marito e i miei bambini) in giro per l’Europa è stata a bordo di un furgone Trafic che avevamo attrezzato a camper, molto artigianalmente. In realtà, il furgone era predisposto solo per viaggiare e dormire, non c’era toilette né cucina, ma eravamo comunque organizzati su tutto.
La struttura era in legno e alluminio, disegnata e costruita da noi, con la possibilità di inserire un’amaca tra le due portiere anteriori. Quando si viaggiava, i bambini stavano seduti sul lettino posto in fondo trasversalmente, oppure sdraiati sul materassone. Oggi tutto questo non sarebbe più possibile: le norme di sicurezza sono, come si sa, molto più rigide e probabilmente a un controllo il nostro bel furgone bianco, con una riga blu, ci verrebbe sequestrato. Certo hanno ragione, non discuto, ma la vita senza molte regole era innegabilmente più bella (come quando si andava in motorino senza casco…).
Noi eravamo diventati una famiglia con figli, ma in fondo il modo di viaggiare era lo stesso degli anni Settanta: itinerari senza meta, niente (o quasi) telefonate ai nonni, una nuova carta geografica entrando in ogni nuovo paese, appunti scritti a mano un po’ dove capitava.
Nell’arco degli anni abbiamo attraversato così mezza Europa e il Nord Africa: Svizzera, Germania, Danimarca, Svezia e Finlandia; Croazia e tutta la penisola balcanica, Grecia e Turchia, fino al confine con la Siria; Francia, Spagna e Portogallo; Italia tutta, Tunisia, Algeria, Marocco, Spagna e Francia; e molti altri viaggi più brevi, o ripetuti.
Nelle lunghe ore in furgone i bambini dormivano, leggevano, mangiavano, giocavano. Facevamo anche tanti giochi di parole e di osservazione tutti insieme. Il più apprezzato era quello che noi chiamavamo Panni Stesi: il primo di noi faceva un elenco di 5 cose (oggetti-per es. una macchina blu, persone-un vecchietto con il bastone, situazioni-due bambini che giocano a palla, ecc. ecc.) che si potevano vedere guardando fuori dal finestrino, cominciando sempre da dei panni stesi, appunto. Un punto per chi ne vedeva uno, mentalmente si depennava e poi si aggiungeva un altro oggetto da trovare; e così via per un bel tratto di viaggio. Certo, poi a un certo punto è arrivato il Game Boy…
Le carte
Le carte e gli atlanti cartografici erano molto importanti per me e cercavo di comunicare il mio entusiasmo ai bambini, aiutandoli a cercare luoghi e strade. Sono una geografa e le carte mi affascinano ancora oggi come romanzi. Ricordo che spesso, finestrino aperto perché nel veicolo non c’era certo l’aria condizionata, la carta, strausata e piegata più volte nel modo sbagliato, si lacerava e volava via nel vento, di solito lasciando fortunatamente la parte che ci era indispensabile. Quindi, naturalmente, non c’era il navigatore satellitare. Comunque anche oggi una carta me la porto sempre. E’ indispensabile però decidere: o si segue la carta o si segue il gps; se le due metodologie convivono si arriva a litigare ferocemente. E questo non è bello.
Altro capitolo: le guide. Mi piacciono e le apprezzo, molte di loro sono davvero preziose e fatte bene. Ma io ho sempre preferito leggerle prima oppure dopo, al termine del viaggio, per ricordare, puntualizzare, approfondire. Durante il viaggio ho smpre utilizzato i materiali che si trovavano in loco.
Le foto
Paolo è fotografo, quindi tutti i viaggi erano ampiamente documentati, naturalmente in pellicola, negativi in bianco e nero o diapositive. Però, i rullini allora avevano un costo (circa 9000 lire l’uno, sviluppo compreso) e questo aiutava a scattare in modo meno compulsivo e a scegliere più accuratamente le inquadrature, rispetto a quanto ci ha abituato il digitale. E’ bello ritirare fuori ogni tanto queste immagini, per noi cariche di emozione. Piano piano (forse troppo piano…), stiamo scansendo le più belle o significative, in modo da poterle guardare anche sui moderni device.
Ci resta ancora il rimpianto di foto perdute in un meraviglioso viaggio in Turchia: alla fine della lunga vacanza, appena prima di tornare a casa, a Smirne, abbiamo improvvidamente lasciato in una sacca del furgone documenti e rullini fotografici, che ci sono stati puntualmente rubati. La perdita dei documenti è stata, alla fine, positiva, perché una deliziosa famiglia turca ci ha offerto ospitalità per una settimana, fino a che ce li hanno rifatti. Ma della perdita delle foto (alcuni ritratti di ragazzini turchi li ho ancora in mente) continua a dispiacermi davvero.
La colonna sonora
Il nostro Trafic era un prototipo degli anni Ottanta, il primo in Italia, portato per un’esposizione (che abbiamo avuto l’occasione di acquistare perché mio padre in quel periodo lavorava per la Renault) e non aveva nessun optional, tanto meno la radio. Ma alla musica non ci rinunciavamo né noi grandi né i piccoli. Avevamo perciò una radiolona con mangiacassette, con poche, amate cassette che si ripetevano fino allo sfinimento e alla rottura del nastro. Ricordo in particolare una cassetta, Canzoncine in allegria, anzi libro (con disegni bellissimi) + cassetta, orecchiabile e intelligente, che abbiamo imparato tutti a memoria. In effetti, cantavamo un sacco: per combattere la noia dei chilometri, per far conoscere ai bambini le canzoni che più amavamo, per ricordare con loro quelle che avevano imparato a scuola o all’asilo, per addormentarli secchi quando non bastava il rollio del furgone.
L’America
Sono degli anni Novanta anche i miei primi viaggi dall’altra parte dell’oceano. Il primo, una settimana a New York solo io e Paolo: la mia prima volta in America, lasciando i bambini ai nonni, con un complicato planning di orari. Anche in questo caso, un paio di rapidissime telefonate a casa (“state tutti bene? ok”) e via. Ah sì, c’era il fax. Io e Paolo ci eravamo inventati delle strepitose spille fotografiche che riuscimmo a piazzare allo store dell’ICP, il museo di fotografia: tornati a casa, gli ordini arrivarono, a noi emozionatissimi, via fax.
Il secondo viaggio fu con tutta la famiglia, anzi di più: ci portammo anche la fidanzatina di Martino. Meno male che si potevano affittare automobili da sei posti e anche nei motel ci arrangiavamo tutti e sei in una stanza. Seguimmo quasi tutta la West Coast, dal confine con il Canada al South Carolina, in un susseguirsi di differenti climi, ambienti, città. Due cose mi vengono in mente per prime pensando a differenze con viaggi più recenti. Una è la meraviglia nei nostri occhi: tutto così nuovo eppure così conosciuto, un primo incontro con l’America vissuta una vita al cinema, davanti a centinaia di film.
L’altra è l’assenza dei telefoni cellulari: quante volte mi sarebbero serviti quando i figli se ne andavano a fare giretti per conto loro! Ma, anche se esistevano, certo non potevamo neanche immaginare che ogni ragazzino avrebbe un giorno potuto tenere il suo personale nella tasca dei jeans. Ricordo ancora una volta che, a Boston dopo mezzanotte, ho messo Tommaso su un taxi, perché doveva raggiungere il papà dall’altra parte della città dove aveva un lavoro. Il taxista aveva una faccia davvero preoccupante: avessi potuto sentire la voce di Tommi che mi rassicurava… Soltanto la mattina dopo ho saputo che stava bene, anche se il taxista si era confermato preoccupante: non conosceva la strada e Tommaso si è fatto lasciare da qualche parte nei pressi dell’hotel del papà. Irresponsabile, lo so, non state a dirmelo, ma tutto è bene quel che finisce bene.
Qualche foto da alcuni viaggi (Svezia, Grecia, Tunisia, Croazia), il lavoro di archivio è appena cominciato. La qualità dell’immagine di copertina è quella che è, ma il valore storico resta ;). E’ stata scattata dalla mia amica Grazia quando viaggiavamo sul traghetto da Genova a Barcellona.
Qui un altro post su come eravamo.
Qui un post su un viaggio recente.
Qui un post sulla bellezza del viaggiare con lo scambio casa.
Qui un post su viaggiare con i nipoti.
Meraviglioso racconto e poi che emozioni vissute in viaggio
grazie Marina! viaggiare è sempre meraviglioso.
Oh Dei, che bellezza questa lettura! Mi hai fatto sognare. Mi hai persino fatto venire nostalgia per cose mai vissute da me. :’
grazie! che piacere questo tuo commento!
Che bello questo tuo viaggio nei ricordi e grazie per averci portato con te!
I tuoi figli sono stati davvero fortunati ad avere come genitori due amanti dell’avventura come te e Paola. Sarà altrettanto fortunata tua nipote con tutti questi racconti a sua disposizione ?
Sì, grazie, e spero anche di fare molti viaggi con lei!
Che bello è come una finestra sul passato. Che nostalgia!
grazie, sì, è bello ricordare!
Che bei ricordi! Mi hai fatto fare un salto nel passato e una grande nostalgia per i miei viaggi degli anni ’90. I rullini bruciati, le tessere telefoniche usate in cabine occasionali, lunghi viaggi in treno (la mia prima volta in areo mi è costata un salasso: Milano Dublino e ritorno a 900.000 lire).
Credo che fino al 2000 viaggiare aveva tutto un altro significato!
Grazie, Katia, per il tuo commento! Davvero altri tempi!
[…] Qui potete leggere un altro post su ‘come eravamo’, o meglio ‘come viaggiavamo’. […]
Che bel racconto Rossella e bellissime anche le immagini. Complimenti sempre!
grazie, Sabina, sei molto gentile!
[…] di Fantastic nonna all’epoca era già sposata con figli e ci racconta la sua […]
Wow! grazie mille per questa citazione!
Che bello è la prima volta che leggo un blog di una nonna! Ho letto il tuo post tutto di un fiato, emozionante e interessante con foto davvero belle. Complimenti fantasticnonna!
Grazie Silvia! Il tuo commento mi rende molto felice: scrivo per le nonne, ma mi fa molto piacere farmi leggere anche dalle generazioni più giovani.
[…] Viaggiare nel secolo scorso […]
[…] Qui il racconto su come si viaggiava qualche decennio fa. […]
Essendo nata nel ’99, per me il viaggio è sempre stato come quello che intendiamo oggi. Sentire i racconti dei miei nonni, che per la loro generazione hanno viaggiato tantissimo, e di mia mamma mi lascia con un po’ di tristezza, perché mi rendo conto di come viaggiare fosse tutt’altra storia e un’avventura a 360°, mentre ora è tutto così facile e strumentalizzato che certe cose hanno quasi perso il loro fascino. È veramente bello leggerti e poter provare a “viaggiare con la mente” nel modo in cui si faceva una volta.
Mi emozionano sempre questi ricordi e un po’ li faccio miei. Sono passati tanti anni ma sono sempre vivi nella mia mente. Immagino anche la tua emozione mentre scrivevi questo post. Lo dico perché è successo a me scrivendo il mio primo viaggio negli anni ’80.
Certo, Maria! Gli anni si accumulano, ma anche i ricordi e, fortunatamente, molti sono belli (o sono solo quelli che rimangono?).
Che bell’articolo Rossella, l’ho letto tutto d’un fiato! Io ho 27 anni, per cui ho sempre viaggiato come si viaggia oggi giorno, ma mi sarebbe davvero piaciuto poter vivere in quegli anni, quando il turismo di massa non esisteva ancora, ed era tutto più autentico.
La tua foto con lo zaino in spalla mi ha commossa particolarmente, mi rivedo io, tra 40 anni, raccontando ai miei nipotini le mie esperienze di viaggio.
Grazie per aver condiviso le tue esperienze di vita 🙂
Grazie a te, Lucia, per la tua emozione! Sono molto contenta che il mio post ti sia piaciuto. Credo sempre che si debba raccontare per non dimenticare e per le giovani generazioni.
Un post molto molto bello. Ricordi, storia, emozioni… grazie, è stato bello leggerti! 🙂
Valentina
Che dire di questo racconto se non che è bellissimo? Quasi quasi lo faccio leggere pure alle mie figlie…e al marito ansioso ;-). Grazie per aver condiviso anche le tue foto…si vede che hai il viaggio nell’anima. Alla parte sulle carte, invece, ho sorriso…io sono negata, anche se teniamo un Atlante d’Europa nella tasca posteriore del sedile della Multipla…casomai dovessimo rimanere senza connessione, dati o simili nel bel mezzo di una gita o di un viaggio!
Ma dai, una Multipla… L’abbiamo avuta e l’ho amata moltissimo per i nostri viaggi… Non la cito perché è successiva. Grazie per il tuo apprezzamento, mi fa davvero molto piacere. Un grande abbraccio.
A me che sono nata nel 1980 questo post ha portato alla mente tanti ricordi… quelli dei primi viaggi con i miei genitori nell’infanzia e nella’adolescenza.
Ma qualcosa per me non è cambiato, io e il mio compagno abbiamo delle auto d’epoca e con quelle si torna un po’ indietro nel tempo.
Niente radio, e senza caricabatterie per il cellulare neanche google maps né Spotify per ascoltare musica. Solo vecchi mangiacassette e cartine (con cui ci perdiamo sempre!).
che meraviglia le auto d’epoca! E da quanto ho capito la tua famiglia d’origine è un po’ simile alla mia: il modo di viaggiare rivela molto delle persone.
Che bel racconto. Io sono della generazione successiva, quella che viaggiava negli anni ’90 con l’ interail. Biglietto aperto tutta Europa valido un mese. Si viaggiava di notte perchè non avevamo abbastanza soldi per gli alberghi. Che tempi!
Grazie, Barbara. Bellissimo l’Interrail: quando ero adolescente era il mio sogno, poi ho fatto altre scelte. Comunque viaggiare di notte per risparmiare di notte: fatto!
Una delle cose che mi ricordo con piu’ affetto di quando ero bambina e viaggiavo con la famiglia, erano gli atlanti stradali (viaggiavamo tanto in macchina) e piu’ in generale le mappe delle citta’. Ritrovarsi non era sempre semplice… certo il gps e’ una gran comodita’! 😀 Ma ancora oggi quando posso cerco di trovare una mappetta e orientarmi con quella. salvo poi perdersi e sfoderare un utilissimo smartphone connesso a googlemap! 😀
Cara Zia Ro, anch’io proprio come te! La tecnologia non deve ridurre le nostre possibilità, ma ampliarle. Smartphone + carta è certamente meglio!