Nonne e bisnonne

Io non sono ancora nonna, forse prima o poi lo diventerò, chissà. Ma vorrei raccontare delle mie nonne e  bisnonne, donne nate nella seconda metà dell’Ottocento. Le mie bisnonne erano ovviamente quattro, ma di tre di loro conosco solo il nome o poco più. Posso farmi un’idea del loro aspetto solo da qualche vecchia foto.

Storia di Emma

Ma della bisnonna Emma, nata nel 1873 e morta nel 1916, mi è arrivata qualche notizia in più. Emma e sua sorella Emilia avevano un diploma di maestra. Abitavano a Massa, la città del marmo, in Toscana, dove loro padre era sindaco. Ma quando il padre morì prematuramente,  presero strade diverse.

La maggiore, Emilia, ebbe un incarico di insegnamento in un paese della Garfagnana, quella zona montuosa dell’Appennino dove i bambini andavano a scuola portando con sé un pezzo di legno per la stufa (altrimenti il freddo avrebbe impedito di fare lezione). La più giovane, Emma appunto, preferì sposarsi a 18 anni con mio bisnonno Enrico. Per quel poco che ne so, Enrico non era propriamente nella categoria degli uomini colti citati da Virginia Woolf. Era però abbastanza agiato: commerciava in marmo e gestiva una piccola cava nel comune di Bonassola, vicino a Levanto, dove abitava. Sicuramente aveva fatto un po’ di studi, quelli che gli servivano per la professione, ma credo tenesse alla cultura meno di sua moglie.

Dal 1892 al 1912, Emma e Enrico hanno avuto nove figli, due morti bambini e gli altri – cinque ragazze e due maschi più giovani –, vissuti a lungo, sono stati gli zii della mia infanzia. Nella foto di copertina la potete vedere ritratta con due delle sue figlie. Gli zii parlavano sempre di Emma e per questo la conosco meglio delle altre bisnonne. Inoltre ho potuto leggere, quasi ottant’anni dopo, le lettere che scrisse durante il suo ultimo anno di vita al figlio dodicenne Paolino, che studiava in collegio a Sarzana.

Perciò ho l’impressione che Emma mi sia più vicina, anche perché vado ancora in vacanza nella sua casa. Ecco, Emma possedeva addirittura una casa tutta sua, probabilmente costruita con i soldi della sua dote, non soltanto una stanza tutta per sé, come raccomandava Virginia Woolf.

Emma, come le donne colte e agiate della sua epoca, organizzava la sua casa e la sua famiglia con l’aiuto di personale di servizio, ad esempio la Gigia, cameriera e accompagnatrice delle ragazze quando andavano a Spezia a fare spese. Poi c’era la sarta, che veniva a cucire i vestiti insieme alle bambine, l’insegnante di francese e molte altre. E aveva perciò il tempo per scrivere molte lettere.

Storia di Paolina

nonna Paola a 31 anni

La seconda figlia di Emma, Paolina – mia nonna, nata nel 1994 e morta nel 1972, quando io avevo 20 anni – ha seguito la ‘carriera’ della madre, cioè ha fatto come lei la moglie e la mamma, come d’altra parte tutte le sue sorelle. Questa era la professione ideale, l’unica possibile per tutte le figlie della buona borghesia.

Paolina era bella, forse la più bella tra le cinque sorelle. Era ben fatta, robusta, con gli occhi azzurro-grigi, i lineamenti decisi. A 17 anni era già fidanzata con l’Avvocato, un uomo ricco, simpatico e di buona famiglia che aveva 13 anni più di lei.  Era vivace e sbrigativa, amava la buona tavola, e non era mai stanca.

Paolina era avviata a una vita simile a quella di sua madre, anzi ancora meglio, perché suo marito pur essendo un militare di carriera poteva permettersi lunghi periodi di aspettativa durante i quali andava a pescare e passava parte del suo tempo in uno studio da avvocato a cui teneva molto, ma nel quale non si è mai saputo veramente che cosa facesse. Certamente non guadagnava, in quello studio, ma non ne aveva bisogno.

Ma poi il destino è cambiato e  l’Avvocato ha perso quasi tutti i suoi averi nel fallimento di una banca (la storia si ripete periodicamente, come vedete, e avere soldi in banca non è sempre una buona cosa). Il nonno e la nonna non si sono lasciati abbattere e lui ha ripreso il suo mestiere di militare, mentre lei diventava un’ottima casalinga: cuoca perfetta e capace di cucire vestiti per quasi tutta la famiglia. Così la ricordo io. E credo che non abbia pensato neppure per un attimo a un lavoro fuori casa. Il suo compito al massimo era di risparmiare sulla conduzione della famiglia. Il guadagnare spettava a suo marito, e soltanto a lui.

Quindi niente da fare, lungo la linea materna non trovo nessuna donna professionista; per quanto abbastanza agiate e colte, le mie antenate di Levanto non vedevano alternative alla casa, e probabilmente erano lontanissime dal porsi problemi di emancipazione o di ruolo della donna.

Storia di Adele

nonna Adele 1925

Ecco invece la mia nonna di Voghera, diversa sotto molti punti di vista. La nonna Adele era nata nel 1892 e aveva fatto soltanto la quarta elementare; a undici o dodici anni aveva cominciato a lavorare come operaia in una fabbrica di orologi. Era piccolina di statura, bionda e graziosa. A ventun anni si era sposata con il nonno, che è sempre stato innamoratissimo di lei. Il primo figlio, mio padre, è arrivato subito, poi ne sono seguiti altri due.

Per carattere il nonno pensava in grande ed era sempre ricco di iniziative. Nell’arco della sua vita ha fatto l’operaio e l’impiegato, ha continuato a studiare anche lavorando, ha costruito case, avviato una tipografia editrice, fondato la Società Italiana della Pietra Litografica. Ma è stato anche soldato in due guerre, e durante questi periodi era Adele che gestiva casa, famiglia (tre figli e i genitori anziani) e negozio di cartoleria. Era lei che teneva i piedi saldamente piantati per terra e si opponeva ai progetti troppo rischiosi. Insomma, era una vera imprenditrice, pur con i limiti del suo tempo e del breve corso di studi. Forse proprio perché non aveva studiato come avrebbe desiderato, si era data un enorme da fare perché i suoi figli raggiungessero una professione: mio padre ingegnere, le due ragazze insegnante e medico.

Insomma, queste mie storie di famiglia ci dicono che essere figlie di uomini agiati nella prima metà del Novecento ha dato alle nostre nonne e bisnonne dei privilegi, ma erano privilegi che avevano un prezzo. La vita protetta e tranquilla  limitava la loro libertà di azione e non le aiutava ad uscire dal ruolo che gli altri, i mariti, la famiglia avevano ritagliato per loro. Invece una persona più modesta, come la nonna Adele, ha dovuto lavorare e quindi ha avuto una vita quasi da professionista. Certamente non era una grande cuoca, anzi è famosa la sua pastasciutta punitiva, cotta per almeno quaranta minuti; ma ha saputo conciliare casa, lavoro e famiglia, come le più agguerrite donne in carriera dei giorni nostri.

 

In questo post potete leggere un mio intervento nello spettacolo “Mia nonna è un’ingegnere”.