Incontrare un Premio Nobel non è una cosa di tutti i giorni. E tanto meno fare insieme due chiacchiere a cena e durante un viaggetto in auto.
Questo è quello che mi è capitato ieri, quando il Premio Nobel per la Pace 2003, l’iraniana Shirin Ebadi, è venuta a parlare in piazza ad Arona. Invitata dal Teatro sull’Acqua, questa intelligente signora, giurista e avvocato, ha parlato a un pubblico attento di diritti umani e di diritti delle donne, in Iran e nel resto del mondo.
Shirin Ebadi testimone e attivista
Ha affermato che se vogliamo la pace dobbiamo prima di tutto attenuare le disuguaglianze economiche. Come può esserci pace in un pianeta dove la metà della ricchezza è detenuto dall’1% della popolazione e dove un bambino muore ogni 5 secondi? La lotta per i diritti deve quindi procedere di pari passo con la lotta per la pace e per lo sviluppo in ogni parte del mondo.
Questi sono gli argomenti che mastico tutti i giorni (o quasi) per il mio lavoro: a volte mi sembrano quasi scontati, mi pare che tutti ne siano al corrente e li individuino necessariamente come priorità. Ma mi rendo conto, invece, di quanto sia importante ribadirli in ogni platea, a un pubblico che non sempre si sofferma a mettere in immediata correlazione libertà e giustizia, equità e diritti.
Mi rendo anche conto, parlando con amici e conoscenti, di quanto siano poco dibattuti i temi che dovrebbero essere alla base delle politiche locali, nazionali e sovranazionali. Si parla in modo cronachistico dell’effetto finale, senza andare alla radice dei problemi. Quanti, per esempio, conoscono gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile? Ritengo che siano uno strumento formidabile per fare il punto della situazione del pianeta e dei suoi abitanti, per individuare i traguardi possibili e controllare i risultati raggiunti dopo gli interventi necessari. In questo post e in questo parlo di due obiettivi dell’Agenda 2030; qui invece un link al mio blog Progetto Ipazia con l’Agenda 2030 spiegata ai bambini.
Shirin ha anche posto l’accento proprio sui diritti delle donne. Ci ha raccontato che nell’Iran attuale una donna vale metà di un uomo, sia che debba essere rimborsata per un incidente stradale, sia che debba testimoniare in tribunale. Ma la sua fiducia nel futuro è comunque incrollabile: è certa, infatti, che saranno le donne a salvare l’Iran e a cambiare l’Islam, attraverso una rivoluzione non violenta, ma inesorabile. La stessa ottimista fìducia nel ruolo delle donne che ho trovato quando ho parlato con Malalai Joya, coraggiosa attivista nel disastrato Afghanistan.
E questa è stata anche la sensazione che abbiamo avuto noi visitando l’Iran: abbiamo incontrato donne estremamenti intelligenti e determinate, inarrestabili nel volere il meglio per sè e i propri figli. In Iran oltre il 60% degli studenti universitari sono donne; moltissime donne leggono e studiano le lingue, sopperendo in questo modo alle limitazioni nel viaggiare all’estero; tante sono pittrici, poetesse, musiciste. E in Iran il movimento femminista è illegale, ma fortissimo.
Ha parlato anche di migranti e dell’importanza di valorizzare le loro esperienze e i loro saperi. Di aiutarli a imparare la lingua, perché si integrino nella nostra società nel modo migliore, con il lavoro e con il contributo delle loro culture. La nostra attività in politica non deve fermarsi al voto, ma intervenire in ogni aspetto della società e con il controllo delle azioni dei nostri governanti.
Shirin Ebadi nonna
Shirin ha parlato anche di molto altro, ma io ho potuto farle anche domande più intime, e in particolare sul suo essere nonna. Ha un nipotino di sei anni, Radin, e sua figlia, che vive a New York, è ora in attesa della nascita di una bambina. Anche se i suoi impegni la portano in giro per il mondo, cerca di stare per un periodo con suo nipote almeno 4 o 5 volte all’anno. E poi la tecnologia aiuta, certo: anche con Skype si può chiacchierare a lungo, e pure giocare.
Le ho chiesto come comunica a suo nipote, ancora piccolino, i valori in cui crede. Mi ha risposto: gli regalo delle bambole e ci gioco con lui. Le bambole sono giocattoli perfetti per parlare dei ruoli nella famiglia e dei rapporti uomo-donna nel lavoro e nella società, per insegnare a trattare i più piccoli e i più deboli, per giudicare comportamenti positivi e negativi. Permettono di trasmettere indirettamente valori importanti: giocando alla casetta delle bambole si possono anche minare le basi di una cultura patriarcale. Come posso non essere d’accordo? Sull’educare i figli maschi puoi leggere delle mie rifessioni qui.
Shirin mi dice che a suo nipote piace molto giocare con lei, ma anche a lei piace parecchio giocare con lui. Un episodio carino che racconta è di quando figlia e nipote sono arrivati a una conferenza dove lei stava facendo un intervento. Il nipote la guardava con stupore, chiedendosi se quella donna importante fosse davvero sua nonna, o una che le somigliava. Allora Shirin gli ha fatto l’occhiolino, dandogli conferma. Il piccolo ha sorriso e da allora un loro gioco segreto, a cui lui si diverte sempre molto e in cui si scambiano i ruoli di chi parla e chi applaude, è il gioco del discorso dal palco.
Imparate dai nonni
Alla fine del suo intervento ad Arona ci sono state varie domande. Una di questa riguardava il ‘che fare?’. Shirin Ebadi ha risposto: ‘Guardate quello che hanno fatto i vostri nonni, che sono riusciti ad abbattere il fascismo, con coraggio e determinazione. Imparate da loro e mantenete vivi quei valori che hanno portato alla libertà e alla democrazia, alla giustizia e ai diritti per tutti e tutte.’ Brava Shirin!
Per concludere, ha raccontato che il nostro Bella ciao è diventato un simbolo anche per i giovani iraniani, che hanno tradotto in farsi, la lingua persiana, le parole della canzone. E a questo punto il pubblico, naturalmente, l’ha intonata.
Questo il link a una bella biografia di Shirin Ebadi sull’Enciclopedia delle Donne, a firma di Ester Rizzo.
Bene, è un articolo che tocca un sacco di tematiche da quelle che uno si aspetta di più a quelle che non si aspetterebbe affatto.
Bellissima l’idea di utilizzare il gioco delle bambole per minare la cultura patriarcale.
Pensa che mio suocero, quando vedeva il mio bimbo giocare alla cucina, lo rimproverava dicendo: “Sono giochi da femmine quelli!”
Finché la mia pupa gli ha risposto: “Ma nonno, come sei antiquato! Guarda che anche il papà cucina!”
Eh sì, sono le nuove generazioni che ci salveranno!
Che bel racconto!
Brava Shirin, Brava Rossella.
Questo articolo mi è piaciuto tanto.
Grazie
Grazie, Niloo! Detto da te che conosci bene la realtà iraniana mi fa molto piacere.
Quanta saggezza (compreso il discorso delle bambole) trasmette e quanta tenerezza nei racconti legati al nipote! Non la conoscevo per cui l’articolo mi ha incuriosita ancora di più. Approfitto qui di per leggere la sua biografia che hai linkato e cercherò anche libri che la riguardano!
grazie del tuo commento. shirin è una donna davvero coraggiosa e intelligente. e poi viene da un paese meraviglioso, il cui popolo, tra i più ospitali al mondo, si merita molto di più.