Storia di Lala: scegliere l’Africa

Questa è la storia di Maria Laura, Lala per tutti, pediatra e nonna italo-senegalese.

Sono diventata senegalese molti anni fa. In Francia. Senza mai essere stata in Senegal. In pochi secondi.

Parigi, 1972.  Lala italiana, Laye senegalese sono entrambi studenti nella capitale francese. Si incontrano, si innamorano, si sposano.

Per la legge di quell’epoca, una donna italiana, sposandosi con uno straniero, perdeva automaticamente la nazionalità. Il Senegal, senza una domanda, senza una sola indagine, senza nessuna condizione, le offrì immediatamente la sua.

Al Comune del 5ème arrondissement di Parigi, dove si sono sposati, consegnarono il proprio Certificat de coutume, un documento rilasciato dalle rispettive ambasciate che riportava le leggi del paese sul matrimonio. In Francia, infatti, due stranieri si possono sposare soltanto se ciascuno rispetta il proprio diritto di famiglia.

Sul documento italiano, a parte la perdita della nazionalità, c’era scritto che Lala doveva obbedire al marito e seguirlo ovunque decidesse di vivere. C’era anche scritto che non potevano divorziare: allora in Italia il divorzio non era ammesso dalla legge. Sul documento di Laye, invece, era indicato che bastava dire tre volte davanti a testimoni che ripudiava la moglie e il legame sarebbe stato sciolto. C’era anche scritto che poteva avere fino a quattro mogli.

In tutti gli anni del nostro matrimonio, mio marito non ha mai utilizzato né l’una né l’altra delle due possibilità, perché mi ha accolto con la mia cultura, senza impormi niente che non avrei potuto condividere.  Laye era ed è musulmano, ma né lui né la sua famiglia mi hanno mai chiesto di abbracciare l’Islam. I nostri figli hanno sempre potuto scegliere e praticare la religione che volevano.

Mentre il padre di Lala, totalmente contrario al matrimonio, non volle nemmeno conoscere il genero, il padre di Laye, un calzolaio analfabeta, dettava lettere da inviare a Parigi per rassicurare la nuora. A Natale del 1973, al posto di polizia della Gare de Lyon, per puro razzismo, Laye venne quasi ucciso davanti alla moglie e ai suoi due bambini, rimanendo in coma per tre giorni. Lala scrisse in Senegal che si vergognava di essere europea: il suocero le rispose che in tutti i paesi del mondo ci sono persone ignoranti, intolleranti e piene di odio, ma ovunque ci sono anche quelle buone.

Ancora a Parigi, appena laureata in sociologia, con due bambini piccoli, un’unica stanza piccolissima per casa, Laye studente lavoratore per mantenere la famiglia, Lala decise di seguire un corso di infermiera in previsione della futura vita in Senegal. Ma Laye le propose di ottenere la laurea in medicina.

Ero strabiliata. Pensavo che sperasse che avrei finalmente cominciato a lavorare per partecipare al mantenimento della famiglia. Invece mi proponeva di fare sette anni di medicina! Solo perché sapeva che adoravo quel mestiere e avevo la capacità di studiare. Mi disse che con i bambini mi avrebbe aiutato lui. Che non dovevo preoccuparmi. Che con quello che guadagnava ce l’avremmo fatta benissimo, ma che era importante che potessi realizzare il mio sogno e che sarebbe stato molto utile in Africa.

Anche con i figli, quattro bambine e un maschio, Laye è sempre stato aperto e attento, stimolandoli a studiare e realizzarsi. In Senegal hanno frequentato una scuola privata cattolica perché in quel momento era quella che offriva il miglior insegnamento. I timori di Lala su questa decisione nei confronti del resto della famiglia si rivelarono infondati. Un giorno la badian Ndey Codou (la badian è la zia paterna, importantissima e decisiva nell’educazione dei nipoti) era seduta in salotto a guardare la televisione, quando comparve sullo schermo, in primo piano, la piccola Codou, di 6 anni, che recitava a mani giunte il Padrenostro. Ma la badian non si stupì affatto, anzi si mise a gridare orgogliosa «Wau, ki du Kodu?» (ma questa non é Codou?) e a chiamare tutti dicendo: «Guardate, la mia nipotina in televisione! Guardate com’è bella! La mia omonima!»

Ecco il Senegal, il mio paese. Il paese in cui mi sento a casa, realizzata, voluta e accettata per quello che sono, con la mia cultura, il mio modo di essere donna, la mia libertà.

Lala Mastrogiacomo vive in Senegal dal 1979. Qui, insieme al marito Abdoulaye Mbow, ha cresciuto i suoi cinque figli, che le hanno dato 10 nipoti. La sua laurea in medicina è diventata una specializzazione in pediatria. Ha lavorato con bambini e famiglie in molti paesi africani, Ruanda, Angola, Mozambico, e naturalmente in Senegal. Ho letto alcuni messaggi di genitori di suoi pazienti che mi hanno commosso ed emozionato. Lala è una medica molto amata perché è intelligente ed empatica, conscia dei grandi problemi del continente africano e dell’impegnativo lavoro che attende chi vuole contribuire a risolverli. Nella sua professione mette la testa e anche tutta l’anima.

Se arrivo in un villaggio e spiego quali misure bisogna prendere contro l’Aids, per evitare la tubercolosi, cosa fare per la malaria e poi me ne vado, la gente del posto discuterà un po’ su quello che ho detto e alla fine continuerà come prima. Se invece resto, vivo con loro, verifico le loro reazioni, chiarisco i loro dubbi, aspetto che le mie indicazioni preventive entrino a far parte del loro costume quotidiano, con i loro strumenti, allora il mio lavoro ottiene dei risultati.

Lala è anche una madre e una nonna affettuosa, innamorata della sua bella famiglia. E’ una donna allegra e combattiva, che non si arrende al male del mondo, ma fa sentire in tutti i modi possibili la sua voce contro l’ingiustizia di un pianeta ancora troppo diseguale.

Lala Maria Laura e suo nipote - Lala Maria Laura et son neveu

 

La foto di copertina è del fotografo Marco Gualazzini.