Identidad: le nonne di Plaza de Mayo e i nipoti ritrovati

Sono nata a Buenos Aires nel 1957.

Ho fatto parte di una generazione che ha lottato per cambiare una società che ci sembrava terribilmente ingiusta. Nel 1976, quando i militari fecero il colpo militare, io avevo 19 anni e nell’agosto di quell’anno nacque mia figlia Natalia. Lei ha la stessa età di altri giovani ai quali i militari hanno rubato l’identità. Con una crudeltà inaudita le prigioniere incinte furono assassinate dopo aver partorito, i piccoli vennero dati illegalmente in adozione e trattati per la maggior parte come un bottino di guerra.

Ciò che è successo fra il 1976 e il 1983 durante la dittatura militare ha cambiato la mia vita come quella della maggior parte degli argentini e sicuramente ha influenzato il mio lavoro artistico. Una parte importante della mia opera consiste infatti nel rivelare o rendere visibile ciò che normalmente è nascosto, e uso il vetro per rappresentare questa metafora.

Dopo lunghe ricerche, le Nonne di Plaza de Mayo hanno identificato cinquecento casi di bambini rapiti ai loro genitori o nati in cattività e dati in adozione illegalmente. Durante e dopo la dittatura, le nonne hanno intervistato medici, infermieri, avvocati, assistenti sociali, funzionari, vicini di casa, ex detenuti, cercando indizi per poter ritrovare i loro nipoti.

Grazie alla campagna da loro ideata, in cui si invitano i ragazzi nati fra il 1976 e il 1983 che hanno dei dubbi sulla loro identità a realizzare il test del DNA, numerosi giovani uomini e donne hanno riacquistato uno dei diritti più basilari dell’umanità: il diritto all’identità.

Nella mostra Identidad alludo allo spazio che hanno lasciato quei bambini, oggi adulti, nelle famiglie biologiche e nella società.

L’installazione centrale consiste in centodiciannove vestitini di vetro che rappresentano i casi risolti dalle Abuelas de Plaza de Mayo. Questo vuol dire che centodiciannove figli hanno potuto sapere chi sono i loro veri genitori, conoscere le circostanze della propria nascita e incontrare la famiglia biologica. I figli dei desaparecidos oggi sono adulti, ma nel mio lavoro parlo di bambini perché è lì che il trauma ha avuto origine, quando i militari si sono pressi il diritto di decidere su vita e morte nella società argentina.

Come artista sono sempre stata interessata ai rapporti interpersonali e ai rapporti fra le famiglie e la società. In questo caso risulta evidente che coloro che hanno portato a termini le adozioni illegali hanno dovuto mantenere sigillati i segreti familiari e hanno contato sulla complicità di chi ha preferito non vedere o guardare altrove.

A poco a poco questo progetto si è allargato ed è diventato una mostra che è anche un viaggio emotivo nel tempo e nello spazio.

A Buenos Aires la mostra è stata esposta alla Casa de las Abuelas, all’interno de un ex-campo di concentramento, in un posto dove numerose detenute avevano partorito. Per me è stata un’esperienza molto forte, lì è stata anche sequestrata mia zia Elsa Rabinovich de Levenson prima di essere stata buttata nel fiume da un elicottero, assieme ad altri detenuti–desaparecidos.

Sicuramente l’arte è un’esperienza estetica, ma per fortuna può anche scardinare certezze e trasformare il modo in cui vivere questa esperienza.

Ho viaggiato con le mostre a Buenos Aires, La Plata, Montevideo, Washington, Barcelona, Parigi, Riga, Tallinn e in tutte queste città ho avuto degli incontri sorprendenti e creato nuovi vincoli. Ho parlato di diritti umani nel ex Ghetto di Riga, dove ho visto il mio cognome scritto ripetutamente fra le vittime dell’olocausto. A Montevideo, nello Espacio de Arte Contemporaneo abbiamo organizzato un laboratorio di “selfies” in vetro per bambini, con l’idea di indagare sull’idea di identità.

A Barcelona e a Parigi sono stati invitati a partecipare nipoti che hanno recuperato la loro identità: non si è quindi mai trattato di mostre nel senso tradizionale del termine, ma ho cercato di collocare l’installazione e le sculture in un contesto storico, che è il presente nel quale si cerca verità e giustizia.

In Argentina, ogni volta che un nipote recupera la propria identità si festeggia, e questo momento diventa la condivisione di una grande emozione. Normalmente la società occidentale ci propone un modello a senso unico di felicità, allergico alla vecchiaia e al dolore, nel quale gli anziani diventano invisibili. In Argentina le Nonne di Plaza de Mayo hanno avuto e hanno un impatto grandissimo perché attraverso la loro ricerca di verità e giustizia contribuiscono a sanare la società argentina.

Portare avanti questo progetto mi ha fatto riflettere anche sulla mia identità e di come l’arte sia non solo uno strumento di conoscenza ma anche di profondo cambiamento.

Ogni mostra ha avuto una declinazione particolare, una diversa installazione, uno sguardo differente. Dal momento che sono stata aiutata, ispirata e sostenuta da tantissime persone, questo è diventato anche un progetto corale dove ci sono diversi sguardi e consapevolezze.

Questo è anche un omaggio alle Abuelas de Plaza de Mayo, donne generose e instancabili, che hanno attraversato l’inferno ma sono ancora qui con un sorriso a lottare per la memoria, la verità e la giustizia.

1471134_10153972301704447_8861639428666315683_nimages-1sheflewawayweb22675055080c

p. s.: I nipoti ritrovati oggi (luglio 2019) sono 130. Ci sono perciò nuovi vestitini e la mostra continua a girare.

 

Altre memorie da Buenos Aires sono qui e qui.

Ma Silvia parla di sé come nonna anche qui e qui.